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La necessità di cambiare pelle al Volontariato Archeologico a Cerveteri

La necessità di cambiare pelle al Volontariato Archeologico a Cerveteri – di Giovanni Zucconi

Vi avviso. Il mio ragionamento partirà da lontano, ma le conclusioni non vi saranno chiare se non alla fine dell’articolo.

Lo spunto a questo articolo mi è venuto qualche giorno fa, dopo essere stato contattato da una giovane ricercatrice di dottorato in Archeologia dell’Università di Oxford. Sta conducendo una ricerca dal titolo: “I saccheggi a Cerveteri e Tarquinia, dagli anni ’60 ai primi anni 2000”.

Dopo aver parlato per quasi un paio d’ore sul fenomeno dei tombaroli a Cerveteri, prima di salutarmi, mi ha chiesto se conoscessi qualche Associazione di Volontariato attiva sul territorio di Tarquinia. Un’associazione tipo il Gruppo Archeologico Romano, a cui appartengo. Perché lei non era riuscita a trovarne neanche una.

Questa domanda, in apparenza innocua, nasconde un mondo. E proverò a dimostrarlo.

La domanda della giovane archeologa mi ha sbloccato un ricordo. Di quando il Direttore del Parco Archeologico, Vincenzo Bellelli, in una manifestazione pubblica, mise a confronto la natura e l’indole delle Associazioni di Volontariato Archeologico di Tarquinia e di quelle di Cerveteri. Naturalmente non ha indicato una gerarchia di meriti. Ma evidenziato come le Associazioni di Tarquinia tendano ad essere più “speculative” (il termine è mio), mentre quelle che operano a Cerveteri tendano ad essere più operative sul territorio.

La necessità di cambiare pelle al Volontariato Archeologico a Cerveteri
La necessità di cambiare pelle al Volontariato Archeologico a Cerveteri

La motivazione di questa differenza, in quell’occasione, non fu data. Ma provo a darla io. Così come chi nasce in una famiglia agiata non ha bisogno di lottare troppo per raggiungere i propri obiettivi, le Associazioni di Tarquinia hanno sempre trovato un contesto che, pur non essendo ottimale, è sempre stato sufficientemente degno di suscitare un legittimo orgoglio di appartenenza.

Lo stesso, purtroppo, non è mai stato lo stesso per Cerveteri. Provo a esemplificare con una storia, anche se apparentemente troppo lontana.

Sappiamo che, nel 1833, venne condotta a Cerveteri, dal prestigioso Istituto Germanico, un’importante campagna di scavo. Nella loro documentazione, possiamo leggere che, nel 1834, quando l’archeologo G. Kramer torna a Cerveteri per riprendere gli scavi interrotti l’anno prima, trova di nuovo sotterrate ben 51 delle 53 tombe che avevano appena riportato alla luce. Il motivo? Nel terreno in cui erano state trovate, presumibilmente di qualche latifondista, bisognava riprendere le normali attività agricole. Il Kramer, afferma anche che alcune delle tombe sepolte, presentavano lo stesso tipo di pittura della Tomba dei Leoni dipinti. Sono state quindi risotterrate anche delle tombe affrescate.

Questo accadeva a Cerveteri. Vediamo che cosa succedeva in quegli anni, e nei decenni successivi, nel Municipio di Tarquinia.

Nel 1823, un “gentiluomo” di Corneto (l’attuale Tarquinia), scopre quasi per caso un’importante tomba di un guerriero etrusco, che conteneva ancora il suo carro da guerra e le sue armi. La notizia di questo ritrovamento fece subito il giro del mondo, e Corneto divenne presto meta di numerosi e importanti studiosi e dotti dell’epoca. Italiani e stranieri. Che intrapresero molteplici studi, e produssero bellissimi disegni di tutto quello che era stato trovato fino ad allora. Questo fermento culturale chiaramente alimentò la corsa a nuovi scavi, e produsse nuove scoperte.

Fino a quando, nel 1874, il Municipio di Corneto e la sua “Arte Agraria” unirono i loro sforzi, e le loro risorse, per finanziare una campagna di scavi sistematici nella loro Necropoli. Questa campagna produsse molto materiale archeologico, e molta documentazione.

Volete sapere quale era l’obiettivo di quegli amministratori illuminati? Quello di creare e di donare alla città un “Museo Etrusco Tarquiniese”. Nel 1874, i cittadini di Tarquinia si rimboccarono quindi le maniche per creare un loro Museo Etrusco. Che sarà poi la base sulla quale costruiranno il bellissimo attuale “Museo Nazionale Etrusco di Tarquinia”. Siamo nel 1874. Sapete quando è stato inaugurato il Museo Nazionale Etrusco di Cerveteri? Nel 1967. Cioè, la popolazione di Cerveteri ha sentito il bisogno di avere un proprio museo, dove collocare le decine di migliaia di reperti archeologici che nel frattempo erano stati scavati e portati via dalle proprie aree archeologiche, solo quasi 100 anni dopo dei Tarquiniesi

Nel 1878, il museo di Tarquinia contava già 2.000 reperti esposti. Ed era il vanto della città. Da una documentazione dell’epoca, leggiamo che: “…Esso attira giornalmente visitatori non solo, ma principalmente i dotti e gli archeologi più eminenti di tutte le nazioni. Già nell’Album si leggono con viva compiacenza molti illustri e rispettabili nomi di tutta Europa, e fuori. Egli è oggimai incontestabile che il Museo Tarquiniese non cede al confronto con qualsiasi altra raccolta di tal genere, e mentre onora la città odierna, aggiunge pure una bella fronda al serto archeologico d’Italia…”

Ma non è finita qui. Nel Municipio di Corneto, sempre nel 1874, si costituì una sorta di associazione di volontariato ante litteram: la “Società Escavatrice Cornetana”. Era composta da tredici appassionati che si impegnarono a spendere, nel corso dei successivi 10 anni, 130.000 lire per esplorare anche le aree in cui sorgeva la città antica. Quindi ai Tarquiniesi non interessava solo la Necropoli, ma tutta la Storia della loro antica città. Volevano scoprire, valorizzare e proteggere le proprie radici. Questi scavi portarono, nei due anni successivi, alla scoperta di una parte delle antiche fortificazioni di Tarquinia.

Ma le cronache del tempo di restituiscono il primo indizio sulla natura delle Associazioni di Volontariato Tarquiniesi: dopo solo due anni, questa associazione, per “…cagioni totalmente da lei indipendenti, che è bello tacere…”, fu costretta a sciogliersi.

È come se, già allora, il contesto di Tarquinia non rendesse necessaria l’esistenza di questa tipologia di Associazionidi Volontariato Archeologico.

Storia che si ripete molti anni dopo. Ludovico Magrini, l’illuminatoarcheologo che ha inventato l’associazionismo archeologico moderno in Italia, nato proprio a Tarquinia, nel 1960 fonda in quella città “l’Unione Archeologica dell’Etruria”. Ma, come la sua antenata del 1874, “…morirà l’anno successivo per l’indifferenza delle istituzioni e la scarsa mobilitazione volontaristica…”.Niente da fare. A Tarquinia un’associazione veramente operativa sul territorio non è mai stata sentita come una priorità.

E nel “Principato” di Cerveteri? Così come in un paese dove i terremoti sono frequenti è necessaria un’efficiente Protezione Civile, nella devastata Cerveteri le idee di Ludovico Magrini trovarono terreno fertile. Nel 1963 fonda il Gruppo Archeologico Romano, che muove i primo passi proprio a Cerveteri, con un organizzato contrasto alle azioni clandestine dei tombaroli. E dopo quasi 60 anni, la locale sezione di Cerveteri-Ladispoli-Tarquinia, ancora opera sulle stesse aree archeologiche.Negli anni ha recuperato, manutenuto, e valorizzato importanti siti che nel tempo erano stati abbandonati alla prepotenza della Natura per mancanza di risorse da parte delle Istituzioni. Mancanza di risorse, che spesso è solo un comodo alibi per coprire le pesanti e imperdonabili responsabilità di carattere morale, etico e penale di una città che, tutta intera, ha sempre guardato alle sue aree archeologiche come un tesoretto da saccheggiare per arrotondare il proprio reddito, piuttosto che come uno scrigno da proteggere e valorizzare a fini turistici o culturali. Non ci dimentichiamo che a Cerveteri, caso unico al mondo, è stata costruito un quartiere, quello del Sorbo, dove una volta sorgeva un’importante Necropoli.

Questa è quindi la risposta all’osservazione del Direttore del Parco Archeologico e alla domanda della giovane ricercatrice di Oxford: a Cerveteri c’è stata una reazione da parte delle forze più sensibili ai temi della tutela e della valorizzazione del nostro territorio, che ha fatto nascere un numero importante di Associazioni di Volontariato Archeologico che hanno voluto dire no a determinate logiche. Che hanno voluto rendere fruibili ai visitatori aree che fino a quel momento erano terreno di caccia praticamente indisturbata per i nuovi e i vecchi tombaroli.

A Cerveteri non servivano Associazioni solo “speculative”, come a Tarquinia. Servivano associazioni che, con decespugliatore, zappa, carriole, pale e olio di gomito rendessero di nuovo fruibili le aree archeologiche esterne al recinto della Necropoli della Banditaccia. O in altre aree del nostro territorio. Serviva un riscatto materiale oltre che morale. Per questo, dopo il GAR, sono nate sul nostro territorio associazioni come il Nucleo Archeologico Antica Caere, il Gruppo Archeologico del Territorio Cerite, OgniQuota e Nuova Generazione Etrusca.

Tutto bene quindi? Fino a questo momento si. Ma temo che non tutti stiano comprendendo appieno la rivoluzione copernicana che sta avvenendo sul nostro territorio, e che sta cambiando tutte le condizioni che hanno determinato la necessità di una certa tipologia di volontariato archeologico a Cerveteri. E non ho usato un termine a caso. Così come, dopo Copernico, si scoprì che era la Terra che girava intorno al Sole, e non viceversa come si credeva prima, adesso bisognerà prendere atto che la centralità assoluta delle Associazioni di Volontariato nelle aree archeologiche di Cerveteri non esisterà più. Perché non ha più motivo di esistere così come l’abbiamo conosciuta fino ad adesso.

Naturalmente questo non significa che verrà meno la necessità della loro presenza e del loro prezioso contributo nel territorio. Il lavoro da fare è ancora tantissimo, e il loro operato sarà sempre prezioso e determinante.Ma sarà sempre di più inquadrato nelle procedure e nei progetti della Soprintendenza e del Parco Archeologico.

Qualcuno la chiama burocrazia. Per me è il segnale che stiamo cominciando ad essere una città normale. Che non ha bisogno di Volontari Eroi che devono salvare il mondo, ma di normaliVolontari al servizio di una causa comune. Volontari organizzati in solide associazioni, opportunamente formati nei compiti che dovranno svolgere, e supervisionati da responsabili istituzionali che devono garantire la qualità dei lavori e il raggiungimento degli obiettivi.

A qualcuno tutta questa normalità che finalmente sta arrivando anche a Cerveteri, sicuramente non piacerà. Qualcuno perderà il proprio giocattolo. Qualcuno si appellerà alla legge dell’Usucapione per rivendicare il suo lavoro passato. Ma sono sicuro che la stragrande maggioranza dei volontari che operano a Cerveteri, dopo forse ad una prima eventuale perplessità dovuta alla novità, lavorerà con la consueta disponibilità e lealtà in questo nuovo corso guidato dalla Soprintendenza e dal Parco Archeologico.

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