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Cerveteri, Campo della Fiera

Campo della Fiera – di Angelo Alfani

Toponimo (dal greco τόπος, tòpos, “luogo”, e ὄνοµα, ònoma, “nome”) è il nome proprio di un luogo. Lo studio del significato e dell’origine di un nome, sia esso di un luogo o di una persona, sono utili quantomeno a ricordare recenti passati.

A Cerveteri, laddove inizia il rettilineo che conduce alla Banditaccia, fiancheggiato da pini e cipressi messi a dimora nel 1930 per rendere la via ancora più maestosa e sacrale, si trova il Campo della fiera.

Il nome gli venne attribuito proprio perché, da molti decenni, ogni anno, nella stagione in cui il mare di asfodeli in fiore emana fragranza, vi si svolgeva una movimentata fiera degli animali. Fin dalle prime ore del mattino, nella caligine azzurrognola che faceva intravvedere il blocco tufaceo bucherellato da tombe, reso più cupo e scuro per l’umidità notturna, si distinguevano le figure dei primi compratori che si aggiravano nel piazzale in mezzo agli animali incapezzati e rinchiusi dentro staccionate a passoni.

Ancor più mattinieri erano numerose famiglie di zingari che vi avevano pernottato dentro roulotte di legno: eleganti, bocche spalancate ad un sorriso a quarantaquattro carati, stravaganti, imbrilloccati d’anelli ,medaglioni e catenine, tenevano a capezza splendidi cavalli arabi che invitati al trotto veloce, alzavano polvere spruzzando sudore e bava.
Tanti i cavalli soprattutto quelli da tiro pesante, splendidi nella loro possanza fisica.

Il sindaco P. Alfani ed il maresciallo M. Saporito al Campo della Fiera (1959)

Poi il bestiame vaccino :le grandi vacche e tori maremmani dalle lunghe corna. Capre, pecore dalle decine di velli dissimili e curiosi: arricciati, fluenti, a panna montata. Gabbie allungate con decine di conigli, porcellini d’india, anitre, oche, faraone, billi, tacchini. Galline livornesi accigliate nelle loro penne color ruggine, faraone a pois sussiegose.
Uccelliere in cui intrecciavano voli tordi, colombe, piccioni, pappagalli, merli, quaglie e fagiani. Tanto cibo da strada offerto su bancarelle a ridosso delle tombe a camera che si affacciano nell’anfiteatro”.

Lattarino fritto all’instante, panini gonfi di porchetta , bigonci con anguille marinate, olive dai colori e dimensioni diverse, aringhe sotto sale, guainelle, visciole, mosciarelle, ed altro ancora. La fiera svolgeva una duplice funzione: quella puramente mercantile e di diffusione di nuove razze di animali e quella ancor più insostituibile legata alla molteplicità di interrelazioni che si intrecciavano tra i protagonisti del mercato stesso:i compratori ed i venditori.

Tante le presenze costanti: Dante lo stagnino, inquilino di una tomba poco distante dal Campo, che svolgeva miracolosi lavori da battitore di rame, mentre controllava ,in un pentolone annerito dal fumo la cottura dei frustoni che offriva ad allumati clienti come prelibate anguille; l’abilissimo maniscalco Mecozzi; Cristobattuto, dall’ubiquo cappotto lungo e nero, viso ossuto che s’allungava sotto un cappello impolverato, col suo carretto. trainato da un cavallo trasparente come carta velina: una sfilza di teste che facevano capoccella ,come passerotti dal nido. Poi all’inizio del sessanta, con il carretto svanì anche la fiera.

Io so dove fiorisce l’asfodelo….
nella Maremma pallida ove forse
ei sorride all’immagine dell’Ade
morendo sotto l’unghia dei cavalli

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