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Evviva Sammichele

di Angelo Alfani

Centenaria la divozione per l’annunciator del Gran giudizio

Tre le calamità che insecula seculorum hanno reso la vita della Comunità cervetrana amara come i polpastrelli che hanno sfogliato un carciofo: sarracini, peste e malaria.

Identico il numero dei Santi venerati: Sammichele,il principe degli angeli ed infilzator d’infedeli,san Rocco,( in abbinata con san Sebastiano) che proteggeva dalla terribile Morte nera,la Madonna ai Canneti che rendeva salubre l’aria ,tenendo lontane le zanzare dal pianoro.
Implorati e festeggiati: il patrono l’8 Maggio, il santo taumaturgo il 16 Agosto,la Madre in una domenica di Settembre.
Ricorrenze pervase da un’aura di sacralità che, per i due Santi che avevano terminato il loro compito (la malaria invece imperverserà fino a ieri l’altro,tanto per non evocare covid e virus diversi) si trasformavano in giubilo e gioia popolare sotto il patrocinio della Confraternita.

Dal “secolo breve”’ il santo taumaturgo venne vie più dimenticato ,la sua chiesa abbandonata e lasciata in ruderi,i suoi morti,affreschi e basamenti sepolti sotto quattro piani di calcestruzzo.

La chiesetta dedicata alla Madonna ai Canneti,da anni è aperta solo la domenica e festeggia la BV Maria nel giorno settembrino in cui ricorre la sua natività, con rosario,messa e  processione.Gravi problemi di umidità affliggono,da troppo tempo, l’interno dell’edificio.

I festeggiamenti per Sammichele, pur  con fasi alterne,hanno invece tesaurizzato la divozione mantenendo  le consuete e antiche tradizioni.La fondazione da parte dei frati di una nuova chiesa con attiguo chiostro dedicata a Sammichele,del resto e’ fatta risalire a prima del 1542.

Evviva Sammichele
Evviva Sammichele

Nel testo di Carlo Bartolomeo Piazza “La gerarchia cardinalizia“, dato alla stampa nel 1703 ,Cerveteri viene presentata come il Municipio dalle passate magnificenze  “se egli altresì non soggiacesse, nonostante l’eminenza ,ed amenità del suo sito, alla commune infelicità dell’aria infetta, combattendo tra di se’ la fertilità del terreno, con la mortalità degli Agricoltori. San Michele Arcangelo lungi un miglio dalle terra, di antichissima divozione, per essere la medesima Chiesa, scavata dentro un gran tufo ,a somiglianza di quella scavata miracolosa del Monte Gargano, a cui è nella struttura e qualità del sito similissima. 

Viene governata dai Padri Agostiniani che vi hanno un convento con sei religiosi destinati a mantenervi il culto.Vi ha un ospedale per i Pellegrini e per gli infermi,li quali da lì si mandano a Roma,mantenuto con le proprie entrate dalla Compagnia del SS. Sagramento”.

I Santi, i cavalli e i cavalier io canto

L’ Ottomaggio e dintorni il Paese assumeva l’aspetto di un gran bazar all’aperto: bancarelle fitte come li frascarelli ,a partire dalla pesa pubblica, accerchiavano l’enorme edifico scolastico, lasciando uno striminzito spazio per muoversi.

I banchi=mirabilia erano stretti tra i fusti a scaglie dei pini marittimi, le palme umbertine, tra magnolie dai carnosi fiori e piante di ciciarelli. Gli ambulanti ritardatari si vedevano costretti ad esporre la merce tra cespugli di rose frammiste a oleandri addossati all’alto muro in tufo che racchiudeva il giardinetto dei Ruspoli.

A scuole chiuse i ragazzini si spostavano a sciami seguendo le varie manifestazioni; i giovanotti inseguivano otto majorettes castigate che aprivano alla banda musicale Pio X diretta dal Prof. Tullio Panetta, o si accalcavano intorno al venditore di dischi scatenandosi in irrefrenabili balli.  

Per alcuni anni, a partire dal primissimo dopoguerra, il programma della due giorni di festeggiamenti pel santo Patrono restò piu’ o meno lo stesso, salvo insignificanti variazioni dipendenti dalle risorse economiche e cancellazione di eventi ritenuti oramai desueti.

La prima giornata di Festa si snodava dalle:

Ore 6=Messa in Onore del Santo Patrono nella chiesetta di San Michele su dalle suore.

Ore 9,30=Arrivo di S.E. il Cardinal Eugenio Tisserant;Cresima e Solenne Messa cantata con Processione del Celeste Patrono

Ore 15– Corsa della stella

Ore 16,30– Corsa dei cavalli al buttero, riservata ai cavalli del territorio con bardature e costumi da buttero. Non meno di 4 concorrenti
Ore 19= Gara dei poeti a braccio.

La seconda giornata di festeggiamenti iniziava con la gara del tiro di precisione alla sagoma del cinghiale.

La gara si svolgeva la mattina sul presto lungo lo stradello che costeggia il rio Manganello: proprio là dove oggi è in sosta la roulotte si disponevano i tiratori, mentre la sagoma del cinghiale, dipinta su legno dal pittore locale Montebovi, veniva fatta scorrere tirando la corda tra canne, massi di tufo precipitati, sambuchi che emanavano un profumo dal leggero sapore dolciastro a ridosso della greppa che divide la incanalata valle dalla Banditaccia. Un meccanismo semplice e geniale nella sua praticità ed economicità.

Sempre nella mattinata si svolgeva la corsa podistica, riservata solamente ai cervetrani, che per cinque volte aggirava i giardini attorno al Monumento ai Caduti.Protagonista indiscusso per anni Leandro di Poggio Barone. 

Evviva Sammichele
Evviva Sammichele

Altra gara che si svolgeva in mattinata era la corsa ciclistica che partiva ed arrivava alla fine di via Ceretana. Un percorso di circa cento chilometri :Cerveteri=Bracciano (controllo e firma per cercare di evitare imbrogli)Castel campanile=Palidoro=Palo=Cerveteri per due volte. 

Ore 14=Corsa dei cavalli a fantino riconosciuto,libera a tutti.Cavalli montati a pelo.

Ore 16,30-buffalotti con ricchi premi (rottura delle pile in groppa al somaro cecato dalla buffa) e girelli.

Una programmazione che rendeva evidente il rapporto ancestrale e inscindibile dei cervetrani coi quadrupedi,consolidata dalla Fiera del bestiame alla Banditaccia (da qui il nome Campo della fiera)che proseguiva per una intera settimana,attirando mercanti e intere comunità di zingari amanti ed esperti di cavalli:una sorta di Macondo tra tumuli cosparsi di asfodeli in fiore.Il peso per l’economia paesana  e la rinomanza di tale Fiera erano così significative che i mercanti forestieri non pagavano gabella.  

Le corse si svolgevano lungo la salitella dii via Ceretana,a partire dalla Croce, con premio in soldi doppio per la corsa al fantino.
La stella si svolgeva, invece, nella via del vecchio cimitero. Competizione che non ebbe mai storia: Rodolfo Donnini, perfino con gli occhiali legati col fil di ferro in modo da non perderli, infilzava la stella come rondine l’ingresso del nido.

A fine cinquanta ,per ragioni di intenso traffico e per la durezza dell’ asfalto che faceva slittà li zoccoli, la corsa dei cavalli traslocò ai Vignali (ultima disputata nel maggio del 1966),rendendo ancora più manifesto il desiderio dei cervetrani di allontanarsi dall’ostile acqueo salato a dispetto delle scelte fatte dai politici del calcestruzzo.

Un’unica grande corsa pomeridiana nella strada di polvere e brecciolino che il Podestà Zavagli aveva fatto ampliare sul tracciato della via più importante di Agylla. Una strada che doveva servire per accedere alla necropoli della Banditaccia
giungendovi dall’inizio della via degli Inferi,così come aveva suggerito sua eminenza Mengarelli. A tal proposito una piccola biglietteria,ad imitazione di una tomba a dado, venne costruita sempre alla fine del trenta dai due fratelli Polenta e da Fiorini.

I maligni dissero che la strada serviva soprattutto al Podestà la cui proprietà centinaia e centinaia di olivi e villa acclusa, si trovava, guarda caso, proprio alla fine della nuova strada. Con il sole che incocciava, centinaia di persone si accaparravano le meglio poste masticando ancora pollo alla cacciatora. Poi ,a partire da casa di Ulliana, era un brulicar continuo, come un formicaio disturbato.

Nella rientranza attufata avvenivano i sorteggi delle batterie dopo il primo fatto in Comune. E li già le scazzottate si sprecavano, sedate a fatica da quattro o cinque carabinieri. “Ce se partiva per menasse” ricordano i cervetrani. Risse spettacolari che si ripetevano di “villa in villa”, di festa in festa: Monterosi, Campagnano, Formello, Sacrofano, Anguillara, Vejano, Oriolo, Cesano e via galoppando.

Scazzottate come antipasto, primo, secondo caffè e ammazzacaffè.

Teste rigorosamente scoperte ,solo qua e la fazzoletti annodati ,cappelli col giornale o copri capi ecologici con rametti di profumata robinia. Impolverati, sudaticci stiravano il collo verso il punto in cui avveniva la mossa. Come nell’amore conta il primo sguardo,il corteggiamento, così era per le corse dei cavalli. La partenza decideva tutto il resto.

Nell’assiepamento di umani l’autorità del maestro Salvatore da Tolfa cercava di trovare il bandolo della matassa. Era lui che accennava al suono della tromba dopo aver letto i nomi dei due cavalli in partenza. Un estenuante fatica: nomi di cavalli e fantini ripetuti per decine e decine di volte. Rimase proverbiale una partenza tra Commodino e Gentili. Dopo un buon trequarti dora il maestro straziato, con le gocce di sudore che gli bagnavano gli occhialetti esclamò:” Qui con Commodino che se la pja commoda e con Peppe Gentili che fa il gentile ce famo notte”.

Schermaglie continue, finte partenze, nerbate, improperi velenosi, calci sugli stinchi e manate ossute sulla bocca, accordi presi e non rispettati, matrimoni consumati.

Poi la tromba, il via: partivano. Dietro al polverone sollevato dai due cavalli il popolo si ammucchiava, saltava, allungava il collo, s’arrampicava sulle spalle degli altri per vedere chi si involasse per primo oltre la curva dopo il grande eucalipto. Il rettilineo finale era spensieratezza: tutto era già stato visto .Tra lanci di secchi d’acqua, cappelli che volavano, il sottile filo del traguardo, accennato con calce da pino a pino, veniva saltato da cosce sudate.

E lì riprendevano li cazzotti, mentre il fantino, caricato in spalla, pareva er Santo patrono .

La cuccagna sudata, la tombola e la luna cervetrana 

Ore 18= Palo della cuccagna.Già dalle cinque la folla era assiepata intorno all’albero, in posizione di poco equilibrio per la naturale pendenza della piazza.

Un tempo albero sfrondato e innalzato al cielo come idolo pagano, ora secco tronco di castagno ricoperto di morbido grasso dalle venature dorate che diventava si inspessiva avvicinandosi alla cima.

Le squadre a cinque erano già formate: la conta decideva chi per primo avrebbe affrontato la sgrassatura.

Su in alto, nel cielo pervinca, pendenti dalla rudimentale ruota, ogni ben di Dio: salsicce, salamini, coppe, lonze, prosciutti, fiaschi di vino, caciotte, ed, impacchettati in carta da pane, camicie, mutande, e calzini. Salire era un pò morire: più si saliva, più si sgrassava, più si avvantaggiava il concorrente.

In groppa, in groppa, daje monta su, forza… me sfonni, nun je la faccio più! … Non sbracà proprio adesso!”

Manciate di cenere lanciate a rendere innocuo il subdolo grasso. Cappelli incarcati in testa contro la polvere che acceca.” Forza che ce sei, dai fa’ l’ultimo sforzo”.

Steve McQueen con un colpo di reni afferrò il cerchio, attanagliando con le gambe il palo. Nel tirarsi su gli mollarono i calzoni. In slip acchiappò la fila di salamini e se la mise al collo come collana profumata.

Le salsicce, fatte roteare, furono lanciate verso la folla, che si allargò e si strinse a presa. Un tributo di urla, polvere, e 

lacrime talmente grasse che si fermavano tra le ciglia.

Il tempo necessario per un panino con la porchetta, o la pizza di Marzio che era già ora della tombola.

I numeri venivano estratti sul balconcino del vecchio edifico comunale:quello della farmacia tanto per capirsi.

Urlati a gran voce venivano riportati su un tabellone inchiodato accanto al bar di Pietrantò.

Sarà stato per la confusione,o per la manifesta e risaputa accentuata sordità dell’addetto ma gli errori e le conseguenze contestazioni erano all’ordine del giorno.

Chi non vinceva, nonostante avesse scelto la cartella col numero che s’era sognato la notte prima, trovava giustificazioni strampalate: estrazioni di due numeri alla volta, uno ributtato dentro al bussolotto per non fallo usci’, favoritismi per parentele inesistenti: fakenews di una volta insomma.

Per fortuna i fochi d’artificio costringevano tutti ad alzare gli occhi al cielo e a fantasticare con la testa.

Dopo il botto finale ,mentre il fumo e l’odore acre si diradava e le cracule riprendevano a gruppi ad occupare la Torre, la luna non si scordava di far capoccella tra i due pini.

Molti, fissandola, si domandavano:” Sarà che ce sò scesi ma io la vedo così piccola che nun ce credo”

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