Lo Ius Soli “negato” a Cerveteri. Lo smarrimento di una generazione di ragazzi nati nella nostra città – di Giovanni Zucconi
L’immigrazione è uno dei temi più divisivi che esistono in Italia. E per di più ha assunto, da diversi anni, una evidente e ingombrante caratterizzazione politica. Spesso, un modo semplice per capire se una persona ha orientamenti di destra o di sinistra, è quello di chiedergli cosa ne pensa sul tema dell’immigrazione. E questo, è facile capirlo, riduce spesso un problema estremamente complesso alla stregua di un banale confronto tra tifosi di opposte fazioni. Noi di BaraondaNews abbiamo cercato di contribuire al dibattito ascoltando gli immigrati che vivono a Cerveteri. E abbiamo iniziato dal tema più controverso di tutti: lo Ius Soli. Cioè l’acquisizione della cittadinanza italiana come conseguenza di essere nato in Italia, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.
Non è un tema discusso solo in Italia. In nessun paese dell’Unione Europea esiste una legge del genere. Mentre è estremamente diffusa nel continente americano, Per esempio, Stati Uniti, Canada, Brasile e Messico, lo prevedono.
Devo ammettere che, pur essendo in linea di principio favorevole allo Ius Soli, consapevole della complessità del tema e delle molteplici conseguenze che esso comporta, non l’ho mai considerato una bandiera da difendere a tutti i costi. Almeno fino a questa intervista. Fino a quando non ho ascoltato la testimonianza di Mohamed Ali, si chiama proprio così, un ragazzo di 23 anni nato e vissuto a Cerveteri, figlio di genitori Marocchini.
Mohamed è un ragazzo dai modi gentili e rispettosi. Diplomato all’alberghiero di Ladispoli, ha sempre lavorato nel campo della ristorazione. Ho assistito, con un’emozione crescente, alla sua rassegnazione ma anche alla sua rabbia composta. All’espressione del suo viso che diventava via via più dura, anche se le sue parole uscivano calme e misurate. Un sentimento che inizialmente ho fatto fatica a capire, ma che mi ha poi riempito di commozione gli occhi e il cuore. Ricorderò a lungo questa intervista. Spero che riuscirà a toccare anche il vostro cuore e la vostra mente. Per la cronaca, era presente anche sua madre, Nawal El Mandili, che conosceremo meglio nelle prossime puntate.
Signora El Mandili, quale è il suo sogno?
“Io ho tre figli. Nati e cresciuti a Cerveteri. E ho dovuto aspettare che compissero 18 anni per vederli diventare cittadini italiani.”
Invece, il suo sogno, Mohamed?
“Il mio è un sogno lontano da realizare in questo paese, purtroppo. Io amo questo Paese. Io sono italiano. Ma la domanda che si dovrebbe fare ad un immigrato nato in Italia è: ti senti Italiano? Lui naturalmente ti risponderà di sì. Torneresti a mai a vivere nel tuo paese d’origine? Lui ti risponderà di no. Che vuole rimanerci per tutta la sua vita in Italia. Qui ha i genitori, i fratelli e tutta la gente che conosce. Per tutta la vita rimarrebbe in questo paese. Non lo cambierebbe per nessun’altra nazione. È in quel momento che capisci che sei proprio italiano. Per questo il mio sogno più grande è che lo Jus Soli diventi una realtà in questo paese”.
Ma la maggioranza dei politici, e forse degli Italiani, non è ancora favorevole
“(La madre) Miei cari politici. Voi dite che fino a 18 anni noi non siamo dei vostri. Ma i nostri figli si sentono Italiani. Sono nati a Cerveteri. Si sono vaccinati qua. Hanno fatto tutte le scuole qua. Hanno fatto tutto quello che hanno fatto tutti gli altri ragazzi di Cerveteri. Mio figlio ha anche fatto il presepe vivente. E voi dite che questi miei figli non sono italiani? Sono costretti a presentare sempre il proprio permesso di soggiorno, anche se hanno sempre vissuto a Cerveteri. Io mi ricordo di una mamma di tre bambini che si vergognava a dover presentare per i suoi figli nati in Italia il loro permesso di soggiorno.”

Aveva ragione. In qualche modo si etichetta una persona. La si fa sentire diversa. E stiamo parlando di bambini…
“Poi diventano grandi e finalmente gli dai la cittadinanza. E prima? Non sono italiani? Poi non dite che alcuni giovani immigrati non riescono ad integrarsi. Siete voi politici che non accettate queste nuove generazioni. Siete voi che non volete che appartengano alla comunità degli Italiani.”
Lei, Mohamed, come ha vissuto questa situazione?
“Immagini di avere un figlio che nasce qui. O meglio, che lei nasca qui. Vivere in un luogo ha sempre un impatto. Ogni giorno. Adesso immagini che per 18 anni della sua vita, ogni volta che serviva un documento, ogni volta che sei andato in un consolato che non è quello del paese dove vivi e sei nato, di dove vai a scuola ed esci la sera, devi fare documenti esteri. Leggi ogni volta: cittadinanza, Marocco. Per 18 anni della tua vita, che sono i più importanti. Se ti chiedono di dove sei, gli devi dire che sei Marocchino. Anche se vuoi dirgli che sei italiano, i tuoi documenti dicono che sei marocchino.”
Quindi per 18 anni ha dovuto presentare dei documenti che attestavano che lei era marocchino, mentre lei era e si sentiva un italiano
“Ma la cosa più brutta è che poi, a 18 anni, devi fare richiesta di diventare un italiano. Perché fino a quel momento tu non lo sei. Perché i documenti dicono che tu sei marocchino.”
Quindi va fatta una richiesta formale?
“Assolutamente sì. Tu, per tutta la tua vita, sei sempre stato italiano. Ti senti Italiano. Ma questo non basta. Ci vuole un certificato, e devi portare tutta la documentazione al Comune. Devi far vedere che tu ha fatto tutte le scuole qui. Devi far vedere. Devi dimostrare. È come sentirsi un peso. Ecco il mio documento che ho fatto l’asilo qua. Ecco la documentazione delle elementari e della licenza media. Ecco il mio diploma. Ecco l’atto di nascita dell’ospedale in cui sono nato. Queste sono le vaccinazioni. Si rende conto?”
Si è sentito come tradito?
“Le dirò di più. A quel punto dico: divento Italiano solo perché ne ho la necessità. Perché anche se nasco in Italia, e vivo per 18 anni da Italiano, io sono sempre un Marocchino, allora ci rimango tutta la vita. Ma io ho bisogno di essere italiano. Per vivere in questo mondo in cui sono nato e cresciuto. Per vivere come gli altri. Perché il mio sogno di andare all’estero, con i documenti Marocchini, non lo posso realizzare. Con i documenti Marocchini, non posso muovermi. Il mio vicino di casa, che ha avuto la mia stessa identica vita, per i primi 18 anni della sua esistenza è stato un italiano. E questo gli ha aperto una porta mentale completamente diversa rispetto alla mia. Io domani compio 23 anni. Se adesso mi chiedono di dove sono, mi viene da dire: “sono marocchino. Sono nato e cresciuto in Italia, ma sono marocchino.”

È molto triste e amaro quello che mi sta dicendo
“Lo dico perché sono stato costretto a dirlo tutta la vita. Anche quando, da bambino e da ragazzo, non lo volevo dire. Perché adesso dovrebbe essere il momento di cambiare? Cambierà solo quando un bambino nascerà, e crescerà con la cittadinanza del Paese dove è nato e cresciuto. E sarà culturalmente accettato.”
La capisco. Si sente come se le avessero fatto un favore… (guardo la madre, cercando di capire meglio il momento)
“Lo dice per rabbia. Non la pensa proprio così…”
(Riguardo di nuovo Mohamed)
“Io amo questo Paese. Io sono assolutamente Italiano. È proprio quando che vado in Marocco che capisco quanto sono italiano. Che sono italiano dentro. Che l’italiano è proprio la lingua in cui penso.
(La madre) Quando andiamo in Marocco, mia figlia sentiva che la chiamavano “l’italiana”. E lei mi diceva: Mamma, in Marocco ci dicono che siamo italiani, in Italia ci dicono che siamo Marocchini. Ma noi cosa siamo? Questo porta ai ragazzi immigrati una forte crisi di identità. Problemi psicologici che si porteranno dietro tutta la vita.”
Mohamed, si ricorda la prima volta che ha tenuto in mano il passaporto italiano? Cosa ha provato?
“Quando mi diedero il passaporto italiano alla Questura di Civitavecchia, non immagina quanto piansi. Pensi che me lo diedero il giorno stesso, quando gli raccontai la mia storia. Non si capacitavano che io avessi dovuto aspettare 18 anni prima di ottenere la cittadinanza italiana, e quindi un passaporto italiano. Io piansi… Era come aver raggiunto un traguardo. Ma non lo doveva essere… Io non ero un immigrato che viene in Italia e ottiene il passaporto italiano. Io ho avuto la fortuna di nascere da una famiglia che si era già guadagnata l’integrazione. Che aveva già ottenuto dei lavori a tempo indeterminato. Che già aveva una casa. Che già si era stabilizzata a Cerveteri.
Se io nasco nel suolo italiano, ho il diritto di essere italiano. E poi ho il dovere di comportarmi come tutti gli altri e di rispettare le leggi italiane.
Ma se questo manca, quando nasci in Italia, nella tua prima fase dell’età, tra gli zero e i 18 anni, che è la fase più importante e che forma ogni tipo di umano, come fai poi a parlare di integrazione? A miei figli cosa riuscirò a passare? I miei figli, grazie a Dio (notare che pensa veramente in italiano), nasceranno sicuramente italiani, e la vivranno in modo diverso da come l’ho vissuta io. Loro avranno i documenti italiani, e cresceranno in un modo completamente differente da come sono cresciuto io. Il loro impatto nel mondo sarà completamente differente.”