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La pluralità dell’informazione e i cinepanettoni



La pluralità dell’informazione e i cinepanettoni – Svegliandomi ogni mattina, con il caffè ormai freddo lasciato sul comodino, afferro istintivamente lo smartphone e dò inizio al mio esercizio di interpretazione della realtà.

Alzandomi scorro le notizie in primo piano, saltando le storie dei cagnolini abbandonati in tangenziale, le pubblicità delle automobili; scarto le notizie del gossip sedendomi sul trono della mia evacuazione mattutina, quando finalmente mi decido ad aprire l’attualità, inizio a leggere un articolo, che ormai gli articoli si leggono in quattro o cinque minuti, per poi passare allo stesso argomento in una seconda testata, e poi a una terza.

Valuto la notizia in sé per sé, il modo di esporla, noto le imperfezioni della scrittura, per poi passare alla mia selezione di editoriali.

Questa mattina nel momento apicale del mio sforzo interpretativo, mi scappa una riflessione: “Prima non era così”.

Prima non era così, prima il giornale bisognava comprarlo in edicola, con l’odore della carta, era scomodo da tenere in mano, ed i vecchietti nei bar avevano delle stecche di legno che tenevano le pagine belle in ordine. Per leggere un articolo ci voleva del tempo e di un giornale si leggevano solo le cose che più interessavano, per non parlare poi di andarsi a leggere una seconda opinione, non era nemmeno una cosa da prendere in considerazione.

La pluralità dell'informazione e i cinepanettoni
La pluralità dell’informazione e i cinepanettoni

Oggi la comunicazione è così, si scrive ventiquattro ore al giorno, le notizie escono come oggetti da una pressa, gli articoli sono brevi, la pluralità dell’informazione non è più appannaggio di chi poteva spendere tempo nella lettura, di chi aveva voglia di farlo, le notizie ci appaiono davanti mentre lavoriamo, mentre scriviamo, mentre viviamo, e tutti siamo in grado di leggere anche se non tutti in grado di capire.

Prima non tutti compravano il giornale, non tutti leggevano, quanto poi alla questione della comprensione, be quella era uguale ad oggi.

Ma questa mattina qualche cosa era diverso, dei piccoli pezzi di puzzle si andavano a comporre davanti al mio trono.

La sovvenzione pubblica ai giornali, già spolpata dai governi precedenti, rischia di andar perduta.

Una voce reazionaria dal mio subconscio mi apostrofa “Che se li paghino con le pubblicità, con le vendite, con gli abbonamenti i loro giornali; A te nessuno ti ha aiutato a pubblicare il tuo romanzo”.

Riesco a zittirla: “I romanzi ed i giornali non sono la stessa cosa, il mio punto di vista sulla vita è diverso dal racconto filtrato della realtà”.

Comprare un romanzo è un atto volontario e deliberato, è come scegliere di andare al cinema, i quotidiani sono un altra cosa; la pluralità dell’informazione è un’altra cosa.

“Libero” qualche giorno fa usciva con un titolo infelice acchiappa click, ma il fatto che io sia stato libero di leggerlo e catalogarlo come cazzata rappresenta il mio diritto alla libertà, al diritto collettivo all’informazione.

Il fatto che io oggi possa scrivere questo articolo, rappresenta lo stesso diritto, come è diritto di chiunque leggerlo o meno.

Uscendo di casa la strada era deserta, sferzata da un vento gelido.

Se non ci fossero stati i finanziamenti pubblici ad oggi cosa avremmo perso?

Sicuramente una frase omofoba di qualche giornalista, magari anche qualche titolone xenofobo, ma non avremmo perso solo questo.

In questo stato che scheda scienziati, dove la polizia ferma pericolosi contestatori a piazza del popolo con cartelli recanti il messaggio sovversivo “Ama il prossimo tuo”, che addita gli ultimi come causa di ogni male, in questo stato la pluralità d’informazione, la pluralità di idee diventa fondamentale.

E’ fondamentale poter leggere articoli antitetici, lasciare vive le voci, anche se piccole, anche se poche, anche se stupide.

Poi sta al giudizio di ognuno, all’indice di ognuno additare le scempiaggini, ma ridurre l’informazione all’informazione commerciale, sarebbe come ridurre cinema ai cinepanettoni che sbancano al botteghino, e io mi chiedo che mondo sarebbe stato senza cinema d’essai.

Non è che per un brutto film bruciamo tutti i cinema lasciando solo i multi-sala.

Non è che un brutto articolo diventi il pretesto per chiudere i piccoli giornali.

Non è che da oggi avremo un’unica opinione, la loro.

Michele Pietroforte

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