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Le donne romane non potevano bere vino perché era considerato una fonte di possibile adulterio

Le donne romane non potevano bere vino – di Giovanni Zucconi

In occasione della Festa della Donna, tra i vari spunti che potevamo prendere per scrivere qualcosa sul tema, ne abbiamo scelto uno di carattere storico. Non è sicuramente difficile trovare esempi di veri e propri soprusi che una società maschilista ha storicamente imposto alle donne. Quello di cui parleremo oggi è abbastanza curioso. Forse anche marginale. Ma pur nella sua minore importanza racconta perfettamente alcuni pregiudizi che le donne hanno subito nei secoli.

Parleremo di come, nell’antica Roma, per le donne fosse sconveniente bere vino, se non addirittura vietato. Con punizioni che all’inizio della storia di Roma potevano anche arrivare alla morte.

È nota la maggiore libertà di costumi che gli Etruschi concedevano alle loro mogli rispetto a quella di cui godevano le spose romane. Ma credo che non molti conoscano una legge, attribuita addirittura a Romolo (contenuta nel “Mos Maiorum”), che prevedeva fino alla pena di morte per le donne che fossero state sorprese a bere vino dal padre o dal marito. Condanna a morte che poteva essere eseguita direttamente e materialmente dal marito in caso di adulterio.

Le donne romane non potevano bere vino perché era considerato una fonte di possibile adulterio
Le donne romane non potevano bere vino perché era considerato una fonte di possibile adulterio

Vi domanderete che c’entra l’adulterio con il fatto che una donna potesse bere vino. Semplice. Il vino, per i Romani delle origini, ma non solo per loro, aveva dei forti legami con il comportamento sessuale delle donne. Molte sono state le interpretazioni di questa legge eccessivamente severa, e indegna per un popolo che ha inventato il Diritto come lo conosciamo oggi. Ma tutte si possono facilmente ricondurre ad una fobia maschilista che attribuiva alle donne delle debolezze e degli appetiti sessuali facilmente amplificabili con un buon bicchiere di vino.

Praticamente bere vino era considerato come un’anticamera dell’adulterio, e quindi andava rigorosamente vietato alle mogli. Scriveva l’autore latino Valerio Massimo, e siamo già al primo secolo a.C.: “…L’uso del vino era, un tempo, ignoto alle donne romane, naturalmente per evitare che si lasciassero andare a qualche gesto indecoroso, perché il grado successivo all’intemperanza che si deve al padre Libero (cioè a Bacco) conduce generalmente al sesso illecito…”. E anche: “… la donna che beve vino chiude la porta ad ogni virtù e l’apre ad ogni vizio…”.

Per i Romani, il vino ha quindi il potere di accrescere la libido, soprattutto delle donne, che quando lo bevevano potevano cedere inevitabilmente alle passioni trasgressive ed illecite. Questo portava altri autori a definire il vino come una vera e propria “fonte di adulterio”. Insomma, era molto pericoloso lasciare un bicchiere di vino in mano ad una donna, che tra le altre cose avrebbe anche iniziato a parlare più liberamente dei fatti della propria casa, creando quindi imbarazzi a tutta la famiglia.

Ma c’è un altro motivo “curioso” per il quale era meglio tenere lontano il vino dalle donne: il suo uso avrebbe messo in pericolo le loro funzioni riproduttive. In un trattato di ginecologia scritto durante il regno di Traiano, si sostiene che consumando del vino durante il primo mese di gravidanza, la donna si può procurare un aborto. Sempre in questo trattato, l’autore afferma che berne in grande quantità impedisce alla donna di essere inseminata dall’uomo. Per questo motivo il vino è un importante componente nei farmaci anticoncezionali realizzati nell’antica Roma. Anche Plinio il Vecchio sosteneva che ci sono vini che possono rendere sterili.

Per evitare tutte queste “sciagure” che mettevano in discussione le regole fondamentali sulle quali si basava l’ordine sociale di Roma, alle donne erano destinate altre bevande, che ricordavano vagamente il vino “vero” che potevano bere solo gli uomini. Per esempio si utilizzavano molto i cosiddetti “dulcia”, che erano dei vini dolci mescolati con acqua e profumi. O la “lora” un vino molto annacquato simile a quello consumato anche dai vecchi contadini delle nostre parti (il cosiddetto “acquato”), prodotto con la macerazione in acqua degli scarti della spremitura. O il “passum”, che era ottenuto spremendo l’uva appassita al sole.

Prima di chiudere, vorrei raccontare un episodio legato all’argomento appena trattato, ma che ci fa conoscere un altro aspetto del trattamento, non proprio rispettoso dei diritti delle donne nell’antica Roma. Racconta lo storico latino Varrone che, ai tempi di Romolo, un certo cavaliere Egnazio Metennio uccise a bastonate sua moglie perché questa aveva bevuto del vino. Per questo fatto venne processato e condannato. Per quanto ho scritto prima, questa sentenza dovrebbe sembrarvi strana: la legge infatti considerava legittima l’uccisione della propria moglie da parte del marito se la sorprendeva a bere vino. Ma allora perché Metennio fu condannato? Fu condannato perché aveva ucciso la moglie a bastonate: infatti le donne romane non potevano essere uccise a bastonate dal marito o dal padre.

I romani regolamentavano in modo minuzioso le modalità di esecuzione delle sentenze capitali. Anche per quelle eseguite in famiglia. Solo i figli maschi potevano essere uccisi a frustate o a bastonate. Ma le donne, mogli e figlie, che potevano essere messe a morte dal capofamiglia in virtù di qualche legge, non potevano essere uccise con atti violenti. Venivano di solito messe nel carcere domestico, una cantina (non quella dove si teneva il vino) o qualcosa di simile, e li venivano abbandonate e lasciate morire di fame. Quella per inedia era considerata dagli antichi una delle morti meno crudeli, e per questo i romani la valutavano tra le più adatte per le donne. Metennio fu quindi condannato solo perché aveva ucciso la moglie con la violenza, e non perché l’aveva assassinata. Altri tempi, e stavolta non possiamo certo dire che fossero migliori.

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