di Arnaldo Gioacchini *
Quando avvenne la prima vera grande battaglia navale della storia quella del mare Sardo siamo nel 540 a.C. (quella di Salamina si svolse nel 480 a.C. – è noto che fino alla nascita di Cristo gli anni sono computati in decrescenza ), i Rasenna ( gli Etruschi), in particolare quelli di Caisra (Cerveteri in “etrusco”), erano, già da alcuni anni, in una ottima simmachia (alleanza di tipo militare – ndr) con i Punici nella loro espressione più potente: Cartagine. Ciò sicuramente più che facilitato dal fatto che a Cerveteri, in particolare nella sua civis portualis emporica di Pyrgi ove, già in quell’epoca e da qualche decennio, risiedeva una nutrita colonia fenicia (come attestato da ampie testimonianze storico-archeologiche) di marinai e commercianti che nel porto di Pyrgi, grazie alla forte amicizia ed alleanza con gli agyllei (Agylla era il nome che i greci avevano dato a Caisra) avevano stabilito una loro base nautica. È fondamentale ricordare come furono i Fenici a fondare la ricca e potente Cartago (all’epoca degli eventi dominatrice incontrastata del Mediterraneo) e quindi si trattava di uno stesso popolo e soprattutto di un’unica stirpe per cui ecco gli strettissimi
legami socio-politici e commerciali di Cerveteri con Cartagine.
Per comprendere meglio come si giunse alla grande battaglia navale del Mare Sardonio (Sardo) detta anche impropriamente vedremo il perché) di Alalia, è determinante focalizzare chi e perché si scontrò ferocemente in
mare impegnando, globalmente, ben 180 navi! Abbiamo detto che da una parte erano schierati, in strettissima alleanza, gli etruschi ed i fenici di Cerveteri che insieme ai cartaginesi misero in acqua 120 navi, la metà partite da Pyrgi e le altre 60 invece salpate dalle basi nautiche che Cartagine possedeva nel sud della Sardegna, mentre dall’altra i loro avversari, che erano i greci focesi stanziatisi in Corsica ad Alalia (nomata poi,ed ancora oggi così si chiama, Aleria dagli antichi
romani) schierarono “solo” 60 navi che però erano tutte delle veloci (dalle linee d’acqua estremamente filanti con fondo semipiatto, dalla velatura che gli consentiva di stringere al massimo il vento quasi in andatura di bolina come si direbbe oggi, dalla timoneria leggera e,soprattutto, munite a prua di speroni lignei) manovrabilissime pentecontere che così si chiamavano perché oltre che delle vele si avvalevano anche di 50 rematori, quindi navi che esprimevano ulteriore velocità e maggiore manovrabilità (il nome di pentecontere viene dal greco ove penteconta vuol dire cinquanta). Per essere precisi va detto che, sia da una parte che dall’altra, in quei tempi veniva normalmente esercitata la “nobile arte della pirateria” (uno dei motivi principali dello scontro). Inizialmente, e per vari anni, i rapporti con i greci di Focea stanziatisi al Alalia (già preesistente come un “piccolo emporio”) ed i pyrgensi furono sufficientemente tranquilli anche perché i suddetti greci si erano ivi rifugiati per sfuggire ai persiani di Ciro il Grande e nella loro veste di profughi non si erano “mossi” più di tanto andando a disturbare i “dirimpettai” (non dimentichiamo che la Corsica è di fronte alla costa etrusca) tanto è vero che, precedentemente, gli era stato permesso di radicarsi anche a Massalia (Marsiglia) nel 600 a.C. dandogli molto impulso, nonostante gli etruschi con i loro alleati fenici già, da tempo, commerciassero e sbarcassero da quelle parti. Ma fu proprio per la loro sempre maggiore espansione commerciale, per il loro interferire pesantemente nelle rotte altrui e soprattutto per le sempre maggiori azioni piratesche (la “nobile arte” della pirateria era esercitata da entrambe le marinerie) contro gli etruschi ed i loro alleati (popoli che finora erano stati i dominus dell’alto tirreno e del mediterraneo occidentale) che i focesi di Alalia finirono nel “mirino” degli etruschi e
dei punici fino a giungere alla suddetta dirimente battaglia navale. Nell’autunno le 60 navi di Pyrgi dopo essere salpate effettuarono, probabilmente per non essere avvistate troppo presto, una rotta non rettilinea passando invece fra Giannutri ed il Giglio e sfiorando Montecristo per presentarsi poi all’improvviso di fronte ad Alalia ma senza attaccare la flotta nemica (che si armò subito per inseguirli) continuando invece la rotta costiera verso il sud della stessa Corsica fino a giungere alle isole Cerbicales (situate a soli tre/quattro km. di fronte a Porto Vecchio) fra le quali, raggiunti dagli inseguenti focesi, attaccarono battaglia, ma non da soli, in quanto a dargli manforte erano arrivate anche le 60 navi cartaginesi (Cartagine possedeva già delle basi navali nel sud della Sardegna e da lì provennero le sue navi). Essendo in presenza di marinerie molto esperte ed agguerrite (che già avevano affrontato, con successo, l’oceano Atlantico) si può supporre che i ceriti ed i punici applicarono una tattica navale studiata a tavolino: limitare la manovrabilità delle
pentecontere all’interno delle Cerbicales e con i cartaginesi già ivi pronti e in agguato fra di esse.
I risultati di questa prima battaglia navale documentata della storia furono che i focesi persero 40 navi ed ebbero le altre 20 danneggiate e senza più i rostri (furono i primi ad usare dei rostri lignei a prua), perdendo inoltre ben 2.400 uomini fra morti e prigionieri; a seguito di ciò i greci focesi rientrarono subito ad Alalia ed imbarcate le famiglie e gli averi sui “legni” superstiti fuggirono precipitosamente verso la Magna Grecia. La maggior parte dei prigionieri toccò in sorte ai ceriti che però poi, giunti in terraferma, li uccisero lapidandoli (nella zona del vallone di Montetosto – ndr) e passandoli a fil di spada incorrendo nelle ire del dio Apollo a cui erano devoti i Greci focesi, con quello che ne conseguì (ora possiamo affermare “sanitariamente” parlando) per armenti, mandrie e persone .E poi i Giochi riparatori (suggeriti dagli auruspici) da parte di Cerveteri: I Ludi Ceretani ed un sacello con sacerdoti (h.24 si direbbe ora) al tempio di Apollo a Delfi. Ma questa è un’altra storia di cui, magari, parleremo in un’altra occasione.
- Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO