di Angelo Alfani
Fino al 1949 la “Cerveteri, democratica e Cristiana festeggiava degnamente il Santo in una cornice di festa e bellezza “ ben due volte : il 29 di settembre, come da calendario liturgico e l’ottomaggio, rimasta poi unica giornata dai significativi festeggiamenti.
Non si creda che la festa settembrina fosse una semplice romanella: tutt’altro.
Riporto un sunto del programma del 1945 a firma del Comitatodi festeggiamenti cittadini
Venerdì 28 :Triduo di preghiere in onore del Celeste Patrono
Gara del tiro del solco.Non meno di tre solchi con quattro buoi e tre uomini.
La gara si svolgerà in località: sotto il casale di Zambra.
Sabato 29 : Ore 6 e seguenti messe in onore del Santo Patrono
Ore 8 Corsa di cavalli al buttero-riservato ai cavalli del territorio con bardature e
costume con non meno di 4 concorrenti.
Ore 10,30 solenne Processione e messa cantata.
Ore 14,30 corsa della stella.
Ore 17 gara podistica riservata ai dilettanti, non meno di 4.Percorso: cinque giri
intorno al Giardino Pubblico ( metri 3.000 circa)
Ore 17,30 albero della cuccagna con ricchi premi.
Ore 18 corsa di somari con rottura di pile
Tutta la giornata sarà allietata da grandi servizi musicali eseguiti dalla rinomata Banda di Tolfa, diretta dal Prof. D’Ascani Alfredo.
Domenica 30 Ore 6 e seguenti messe in onore del Santo.
Ore 9 Corsa di cavalli al fantino riconosciuto, non meno di 4 cavalli.
Ore 11,30 solenne Messa cantata.
Ore 14 corsa ciclistica di resistenza riservata ad indipendenti e dilettanti.
Percorso: Cerveteri-Ladispoli-Palo-Cerveteri-Bivio Bracciano -Cerveteri
Ore 16 gara di poeti a braccio
Ore 17 grande tombola di lire 20.000 a beneficio arredamento scolastico.
Come tradizione grandiosi fuochi, preparati e presentati dalla premiata ditta Pedacchiola di Bracciano, chiudevano col botto il ritorno a casa dei cristiani e quello dei piccioni e cornacchie sul campanile.
Negli anni a seguire, quelli in cui ancora ci era consentita l’illusione di essere in armonia col creato, l’ottomaggio era la festa della rinascita.
La fioritura dei multicolorati roseti, delle ginestre dai gialli carnosi, della sulla color cardinalizio frammista a ramaglie di menta peperita dall’interminabile profumo ed al tenue e dionisiaco finocchietto, raccolte ancora fradicie di rugiada per far da tappeto al passaggio della Vergine e del Santissimo Sacramento seguivano di poco i festeggiamenti per l’Arcangelo.
La preparazione e lo svolgimento della festa aveva un rituale collaudato:una task force che riusciva a piazzare migliaia di biglietti della lotteria, volontari scrupolosi e fuori orario che divisi per obiettivi organizzavano ogni evento.
Principiava la mattina con la gara di tiro al cinghiale nella valle del Manganello: si sparava dallo stradello appena appresso alla attuale roulottista contro una sagoma di legno raffigurante un cinghiale che veniva fatto scorrere da carrucola di là del rio scomparendo e riapparendo tra cannucce, rovi e pezzi di tufo staccatisi dalla greppa.
L’impiccio maggiore per i tiratori erano la terribile razza nostrana del Tabanomorha manganellaria ,noto come tafano che te’ pungeva proprio sotto l’orecchio appena che stavi per sparare.
In tarda mattinata si svolgeva una gara di biciclette che aveva come partenza ed arrivo l’ultimo strappetto della via dei giardini ( via Ceretana per i foresti).
Solitamente si faceva il giro del Sabatino con ritorno.Si parlava spesso di aiuti non previsti a atleti locali, caricati e nascosti su cassone del furgoncino proprio dietro alla ficona della Fontana de Forafo’.
Ma era soprattutto la corsa dei cavalli montati a pelo che esaltava la comunità, testimonianza del rapporto ancestrale tra i quadrupedi ed i cervetrani.
La corsa al fantino si svolgeva lungo la via Ceretana a partire dalla Croce, con premio in soldi doppio.
La corsa della stella si svolgeva invece nella via ,stretta tra tufo, del vecchio Cimitero.Competizione questa della stella che non ebbe mai storia:Rodolfo Donnini , perfino con gli occhiali legati cor fildeferro in modo da non perderli, infilzava la stella come rondine l’ingresso del nido sotto il tetto de casa di Emma.
A fine cinquanta, per ragioni di intensotraffico eper l’asfaltatura che facevaslittàli zoccoli, la corsa dei cavalli traslocò sulla strada polvere e brecciolino dei Vignali,rendendo ancora più manifesto il desiderio dei cervetrani di allontanarsi dall’ostile acqueo salato.
Se la volevano viverla tra loro, come fosse ‘na faccenna privata tra Cerveteri ed i paesi dell’interno: Manziana,Cesano,Anguillara, Formello,Tolfa ect.ect. La vittoria alla corsa dei cavalli per rimarcare la supremazia di Agylla sui territori circostanti.
Sotto n’ sole che incocciava,centinaia di persone si accaparravano le meglio poste masticando ancora pollo alla cacciatora, e impolverandosi le scarpe appena comprate da Faenia.
Poi, a partire da casa di Ulliana, era un brulicar continuo, come un formicaio disturbato .Nella rientranza attufata avvenivano i sorteggi delle batterie dopo la prima estrazione nel palazzo del Comune. E li già le scazzottate si sprecavano,sedate a fatica da quattro o cinque carabinieri.
“Ce se partiva per menasse”ricordano i cervetrani. Scazzottate come antipasto,primo,secondo caffè e ammazzacaffè.
Teste rigorosamente scoperte ,solo qua e la fazzoletti annodati ,cappelli col giornale o copri capi ecologici con rametti di profumata robinia.
Impolverati,sudaticci stiravano il collo verso il punto in cui avveniva la mossa. Come nell’amore conta il primo sguardo,il corteggiamento, così era per le corse dei cavalli.
La partenza decideva tutto il resto.
Schermaglie continue,finte partenze, nerbate, parolacce velenose ed irripetibili per fa “incazza’il rivale, calci sulli stinchi e manate ossute sulla bocca,accordi presi e non rispettati, matrimoni consumati.
Poi la tromba,il via: partivano. Dietro al polverone sollevato dai due cavalli il popolo si ammucchiava,saltava,allungava il collo,s’arrampicava sulle spalle degli altri per vedere chi si involasse per primo oltre la curva dopo il grande eucalipto. Il rettilineo finale era spensieratezza:tutto era già stato visto.
Tra lanci di secchi d’acqua, cappelli che volavano, il sottile filo del traguardo,accennato con calce da pino a pino, veniva saltato da cosce sudate.
E lì riprendevano “li cazzotti”,mentre il fantino, caricato in spalla,”pareva er Santo patrono” .
Dopo il palo della cuccagna, e le infinite ed estenuanti girate tra le bancarelle che assediavano la Scuola, nella serata centrale, un grande palco, davanti alla fontana del Mascherone, tirato su con palanche da esperti carpentieri, diveniva il proscenio dello spettacolo di varietà.
Fin dall’imbrunire il popolo iniziava ad occupare la spianata di sanpietrini,improfumata da zagare provenienti dallo splendido giardino del prete Regulini ( rimpiazzato, su concessione der solito, a fine sessanta da magnificente palazzo),con le seggiolette portate da casa.
Le nonne, con l’aiuto delle nipoti co’ ‘na abbracciata de sedie, allungavano , manco fosse ‘ntiraemolla, la fila dei posti “occupati”.
Inevitabili le liti, sopite dall’improvviso buio per lo spegnimento d’ogni fonte di luce. Soli le centinaia di sigarette stellavano la piazza.
In un silenzio crescente , quattro fari indirizzavano i loro potenti fasci di luce sul presentatore apparso dal nulla :Silvio Noto, in smoking e farfallino.
Ed era un crescendo:comici, barzelletterei, ballerine dalle cosce e glutei prorompenti e mezzelune di seni luccicanti per le stellette argentate appiccicate alla meno peggio.
Allusioni, manco tanto velate, accompagnavano “La pansé “,a cui facevano seguito esibizioni di giovanotti cervetrani con canzoni, imitazioni, rituali scioglilingua:”Tre tigri, contro tre tigri.Tre tigri contro tre tigri… “ ad libitum.
Difficile dimenticare un fuoriclasse come Mario Strippò o lo straripante Arduino in “Ogni volta, ogni volta che torno” di Paul Anka.
Poi arrivava Lei o Lui, l’ospite d’onore, a chiudere lo spettacolo: Miranda Martino,Gianni Meccia, Fontana…
Nel tripudio, la Piazza cominciava lentamente, poi sempre più in fretta, a svuotarsi, mentre la civetta tornava a far sentire il suo verso.
La luna, che nun se scordava mai de fa’ capoccella tramezzo al firmamento, tratteneva l’occhi di tutti. “Sarà che ce sò scesi ma io la vedo così piccola che mica ce credo”.