Nel corso dell’udienza tenutasi lo scorso 24 febbraio, la Pubblico Ministero Maria Gabriella Chiusolo ha richiesto una condanna a tre anni e quattro mesi per Giannandrea Cito, istruttore di volo del 22enne Daniele Papa inquel fatidico 25 maggio 2020, quando i due stavano svolgendo regolarmente una lezione di volo, finché l’aereo non è precipitato, inabissandosi nel fiume Tevere, episodio nel quale il giovane allievo Daniele perse la vita.
Nel corso del processo, l’accusa ha sostenuto che Cito fosse consapevole delle condizioni non ottimali di quel giorno, e chedurante le fasi critiche non avrebbe provato alcuna manovra correttiva; l’istruttore ha più volte smentito, dichiarando di aver fatto tutto il possibile per evitare lo schianto. La mamma di Daniele, Franca Follesa, aveva riportato che nel corso del processo i risultati delle tre perizie svolte, la prima dal perito del tribunale, la seconda dall’Agenzia Nazionale Sicurezza Volo e la terza richiesta dalla giudice monocratica ed effettuata da periti ufficiali dell’Aeronautica militare italiana, avevano messo in risalto che dietro alla perdita di controllo dell’aereo in volo ci sia stato un errore umano, dal quale era stato scaturito l’incidente.

La mamma riporta anche che, una volta recuperato l’aereo, sono state trovate delle deformazioni sulla strumentazione di controllo dalla parte dell’istruttore, aspetto che avvalorerebbe ulteriormente la teoria che ai comandi dell’aereo ci fosse Cito. La famiglia Papa, inoltre,dichiara di non credere alla versione dell’istruttore, secondo la quale Cito avrebbe provato a salvare l’allievo dopo l’impatto. Nel corso dell’udienza, la PM ha ricordato Daniele come un ragazzo pieno di vita e di interessi, nonché esperto sub del nucleo subacqueo della Protezione Civile di Cerveteri, cintura nera di karate.
La PM ha aggiunto che Daniele, da aspirante pilota di linea, era solito a guardare l’orizzonte da sopra un’ala, e quell’ala, quel maledetto 25 maggio, si spezzò, portando via tutti i suoi sogni. Altre due udienze precederanno la sentenza di primo grado.
Simone Pietro Zazza