Domani la Corte d’Appello bis sarà chiamata a valutare le responsabilità di Antonio Ciontoli e della sua famiglia
Omicidio Vannini, è attesa per la sentenza –
Mancano ormai 24 ore per conoscere l’esito dell’Appello bis sull’omicidio di Marco Vannini.
Il processo iniziato a luglio e rinviato successivamente a tre appuntamenti a settembre è arrivato ormai alla fine.
Domani la Corte d’Appello bis sarà chiamata a valutare le responsabilità di Antonio Ciontoli e dei suoi famigliari: i due figli Federico e Martina e la moglie Maria Pezzillo.
LE RICHIESTE DEL PG
Il Pg durante la sua requisitoria il 16 settembre scorso aveva chiesto 14 anni per omicidio volontario in concorso per tutta la famiglia o in subordine di valutare l’ipotesi di concorso anomalo in omicidio, in base all’articolo 116 del codice penale, e condannarli a 9 anni e 4 mesi.
Secondo il Pg Saveriano “tutti hanno agito nell’interesse comune del proprio congiunto (Antonio Ciontoli, ndr) in una condizione di estremo pericolo”. E ancora: “Non sono medici né chirurghi, e Ciontoli da militare, sapeva quanto fossero pericolose le armi. Se avesse accompagnato Marco subito al Pronto soccorso – ha proseguito il Pg – avrebbe avuto senso”.
LE RICHIESTE DELLA DIFESA
A chiedere invece l’omicidio colposo con colpa cosciente per Antonio Ciontoli e l’assoluzione degli altri componenti della famiglia è la difesa della famiglia Ciontoli.
Per l’avvocato Andrea Miroli “Antonio Ciontoli ha sottovalutato la gravità della ferita”, mentre nessuno dei suoi famigliari “si è sentito di mettere in discussione l’autorità paterna”.
Antonio, cioè, da “uomo del sud non vuole perdere quell’aura di uomo infallibile, quindi si nasconde per chiamare il 118”, mentre i suoi famigliari si sono solo fidati di quanto raccontato dal padre e delle sue azioni.
Da un lato c’è dunque Antonio Ciontoli, dall’altra ci sono Federico che “al Pit racconta ai genitori del colpo d’arma da fuoco”, quindi “come poteva essere d’accordo col padre che invece ha tentato di nasconderlo?”; e poi c’è Martina e quell’intercettazione ambientale nella caserma dei Carabinieri di Civitavecchia dove parla dell’ogiva nel corpo di Marco e che in tribunale spiegherà averlo saputo dall’allora comandante della caserma dei Carabinieri di Ladispoli, Roberto Izzo che poi però durante la sua testimonianza smentirà la versione fornita dalla ragazza perché “rischiava di essere indagato per rivelazione di atti d’ufficio”.