di Giovanni Zucconi
Poche città al mondo hanno subito un saccheggio sistematico del proprio patrimonio archeologico come quello che ha spogliato Cerveteri. I corredi delle migliaia di tombe etrusche delle nostre vaste necropoli hanno seguito mille strade, quasi mai legali, per riempire i musei e le collezioni private di mezzo mondo. La più curiosa e inaspettata, a mio parere, è quella che coinvolse addirittura la Repubblica Romana di Mazzini.
Questa ebbe una vita breve, solo 5 mesi, dal 9 febbraio al 4 luglio 1849, eppure alcuni presunti seguaci dell’eroe del Risorgimento Italiano riuscirono a trovare il tempo per portare a Roma intere casse di reperti etruschi e romani da poco scoperti a Cerveteri. Una specie di furto con destrezza.

Ma raccontiamo la storia dall’inizio. Siamo a Cerveteri nel 1846, e il frate agostiniano Giovanni Giulimondi, della chiesa di San Michele, e l’arciprete Regolini, sono alle prese con uno scavo effettuato nella località detta “Vigna Zoccoli”, nell’area dell’antica città di Caere. Alcuni anni prima, nella stessa zona, fu portato alla luce un teatro romano, e furono recuperate numerose statue che oggi sono conservate nel Museo Gregoriano.
Non solo tombaroli.
Anche nello scavo del 1846 furono trovati alcuni reperti pregevoli: una statua di Venere, due sileni addormentati su un otre di vino, un grande bassorilievo raffigurante un sacrificio, una enorme testa di una statua di Cesare Augusto e un suo braccio altrettanto grande. Queste opere, e molte altre ancora, furono affidate alla custodia del frate Giulimondi.
Nei primi mesi del 1949, il canonico fu contattato da alcune persone, che si qualificarono come rappresentanti della Repubblica Romana, e che affermarono di avere l’ordine di portare a Roma tutti i reperti archeologici. Le fonti a nostra disposizione non ci dicono se si trattasse di funzionari autentici oppure di volgari truffatori, ma il Giulimondi, considerando i tempi non proprio tranquilli per le istituzioni cattoliche nei dintorni di Roma, non ci provò nemmeno ad opporsi. Riempì con cura alcune casse di legno con i preziosi ritrovamenti ma, saggiamente, riuscì a farsi firmare una ricevuta con la lista di quanto aveva consegnato. Il tutto fu trasportato percorrendo l’Aurelia fino a Roma.

Ma questa confisca, così come la Repubblica Romana, era destinata a durare poco. Il 4 luglio 1949 le truppe francesi di Napoleone III entrarono a Roma e imposero la restaurazione del governo pontificio. E i reperti sequestrati al frate che fine fecero, visto che nel frattempo non erano stati collocati in nessun museo? Padre Giulimondi, che non aveva ancora digerito l’espropriazione, fece immediatamente una denuncia dell’accaduto alle autorità di polizia, promettendo anche una ricca ricompensa per il ritrovamento.
Grazie alla ricevuta di consegna che descriveva le opere sequestrate, gli agenti del Papa riuscirono a ritrovare tutti i reperti archeologici che erano stati illegalmente nascosti nelle abitazioni di tre persone, e li consegnarono alle autorità papaline.
Purtroppo, come era prevedibile, i reperti non tornarono mai più a Cerveteri, ma furono collocati nelle “ceretane” stanze del museo Gregoriano. E andarono ad allungare la lunghissima lista dei tesori archeologici che dovrebbero stare in un museo a Cerveteri, e che invece si possono ammirare solo in qualche teca posta in qualche parte dell’intero mondo.