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Attualità

Ladispoli, alla Corrado Melone un “novello Sgarbi”

Il dirigente scolastico Riccardo Agresti condivide con la città il lavoro effettuato da Antonio Pisacane

Ladispoli, alla Corrado Melone un “novello Sgarbi” –

“Un novello Sgarbi”. Così il dirigente scolastico della Corrado Melone, Riccardo Agresti, ha soprannominato Antonio Pisacane della classe 2A.

Tutto merito della sua recensione di un capolavoro del Caravaggio.

Un lavoro, per il dirigente Agresti, effettuato con “passione”.

IL LAVORO DI ANTONIO PISACANE
Ladispoli, alla Corrado Melone un "novello Sgarbi"
Ladispoli, alla Corrado Melone un “novello Sgarbi”

“Giuditta e Oloferne”, è un dipinto ad olio su tela, di dimensioni 145×195 cm, realizzato nel 1599 da Michelangelo Merisi (1571-1610), detto “Caravaggio” che si trova esposto nella “Galleria nazionale di Arte Antica” a Roma, presso Palazzo Barberini.

Dalle fonti pervenuteci, sappiamo che il dipinto fu commissionato da un banchiere genovese, Ottavio Costa, che era un amico del cardinale Francesco Maria del Monte, il quale, essendo un grande intenditore d’arte, era rimasto affascinato dal talento del giovane pittore e così l’aveva preso come suo protetto, provvedendo a renderlo famoso.

Quando Ottavio Costa conobbe Caravaggio, rimase affascinato dal suo talento e gli commissionò l’esecuzione di questa tela, pagando al pittore 400 ducati, un prezzo vantaggioso, visto che non era ancora famoso.

Nel momento in cui Ottavio Costa vide il dipinto, rimase senza parole davanti alla sua bellezza e da buon mercante capì presto che in seguito il quadro avrebbe avuto un valore molto alto, così, nel suo testamento, consigliò caldamente ai suoi eredi di non perderlo o venderlo assolutamente.

Purtroppo dopo il testamento scritto da Ottavio, non abbiamo avuto più notizie di questa tela fino al 1950, quando il restauratore Pico Cellini vide un quadro nella collezione della famiglia Coppi che gli ricordava molto lo stile di Caravaggio. Così avvisò Roberto Longhi, il più importante studioso di Caravaggio e dei suoi lavori, e quest’ultimo, dopo averla studiata con attenzione, ne confermò la paternità.

Questo dipinto ha come tema la decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta, narrata nell’Antico Testamento della Bibbia e rappresentata già da molti altri artisti come Donatello, Sandro Botticelli e Michelangelo Buonarroti.

Siamo nel VI secolo a.C, Giuditta è una giovane vedova ebrea, la quale essendo molto coraggiosa, vuole proteggere Betulia, la città in cui abita e che è stata assaltata dalle truppe di Assiri guidati dal generale Oloferne. Siccome le truppe della città non riescono a competere con quelle assire, la ragazza elabora un piano astuto e accompagnata da Abra, un’ancella fidata, si reca dal generale assiro che, sedotto dalla bellezza di Giuditta, abbassa le sue difese e accoglie la donna come sua ospite. Dopo tre giorni, Oloferne invita Giuditta al banchetto serale sperando di sedurre la donna, ma incantato dalla sua bellezza si lascia ammaliare da lei e si ubriaca. Congedati tutti i convitati, egli invita Giuditta nel suo alloggio e arrivati lì, essendo però molto ubriaco, finisce per addormentarsi; allora la giovane vedova ebrea, guidata dalla grazia di Dio, afferra la scimitarra appesa al letto del Generale e gli taglia la testa salvando il suo popolo.

Nel dipinto viene rappresentato il momento in cui Giuditta decapita con la scimitarra il generale assiro Oloferne. Questo è il momento più violento di tutto il racconto e Caravaggio lo rappresenta nel dipinto in tutta la sua crudeltà. Come ho detto sopra, la storia di Giuditta e Oloferne è un argomento che era già stato affrontato da molti pittori o scultori, citiamo ad esempio Sandro Botticelli e Michelangelo Buonarroti che ne avevano rappresentato sempre il momento successivo alla decapitazione. Caravaggio, invece, ritrae Giuditta proprio nel momento in cui sta compiendo quel gesto violento, introducendo quindi una svolta nel modo di dipingere questa vicenda, coerentemente col suo modo di voler rappresentare la realtà nel suo aspetto anche più crudele, perché sebbene Giuditta sia l’eroina che compie questa missione con la grazia di Dio, sta comunque compiendo un gesto violento ed efferato.

In primo piano, quasi come fosse una scena teatrale, osserviamo i tre protagonisti del racconto. Oloferne, collocato a sinistra dello spettatore, con la lama della scimitarra (arma antica dalla punta leggermente ricurva usata dai popoli del Medio Oriente) piantata nel suo collo sanguinante, è stato colto di sorpresa, mentre dormiva, da Giuditta che proprio in quel momento gli sta trafiggendo il collo. Egli si trova sdraiato su un letto ed è a torso nudo ed in quel momento appare con un’espressione sorpresa, ma allo stesso tempo dolorante e spaventata, con la bocca spalancata come se volesse lanciare un ultimo urlo per il dolore con gli occhi rivolti verso l’alto, come se volesse vedere la vedova ebrea oppure come se, morendo, stesse guardando verso quella luce che rappresenta la grazia di Dio, la quale, come un riflettore, illumina e guida il gesto della giovane ebrea. Inoltre dalle braccia di Oloferne possiamo notare che è come se egli, essendo stato colto di sorpresa e provando ormai già un dolore straziante, cerca istintivamente di rialzarsi dal letto e di ribellarsi alla giovane donna che proprio in quel momento gli sta affondando la lama nella gola; infatti se osserviamo bene la posizione delle mani e delle braccia, notiamo che quest’ultimo con la sua mano sinistra stringe il lenzuolo impregnato del sangue rosso che gli sgorga dal collo, come a farci capire il dolore fisico che prova, mentre se osserviamo la posizione del braccio destro e del palmo aperto della mano, percepiamo la reazione di Oloferne che, ormai già morente, è come se, proprio come un guerriero, volesse rialzarsi e reagire al nemico. Ciò contribuisce a comunicarci la rapidità fulminea con cui sta avvenendo il gesto. Quindi, la visione di Oloferne in questo dipinto è come se ci comunicasse sorpresa, spavento, reazione, dolore e allo stesso tempo disperazione e timore per aver perseguitato il popolo di Dio. Ed infatti il “timore di Dio” è un tema molto caro a Caravaggio che va a dipingere il suo volto nelle scene in cui il personaggio “peccatore” viene sempre decapitato. Non a caso, il suo autoritratto con la testa mozzata è presente sia in “Giuditta e Oloferne” sia in altre opere come “Davide e Golia”, e in tutte egli assume il volto del peccatore; ciò avviene perché Caravaggio aveva paura della morte in quanto aveva trascorso la sua vita dando più importanza ai valori terreni che ai valori spirituali, assumendo una condotta immorale agli occhi della Chiesa, trascorrendo i suoi giorni giocando d’azzardo e circondandosi di prostitute. A mio parere è come se egli, prendendo le sembianze del peccatore e dipingendosi con la testa mozzata, ammettesse di aver condotto una vita peccaminosa e di essersi perso nella “Selva Oscura” e quindi volesse comunicarci il suo timore della morte rappresentando la paura e la disperazione di questi personaggi in cui si immedesima.

Sempre in primo piano ed a destra dello spettatore, possiamo osservare Giuditta che, sollecitata dall’anziana ancella, sta decapitando il generale. Entrambe le donne sono in piedi e mentre Giuditta sta compiendo quell’omicidio, con la mano sinistra tiene per i capelli Oloferne (prevedendo che la testa tra pochi secondi sarà separata finalmente dal collo), mentre con la mano destra impugna la scimitarra trapassando il collo di Oloferne; l’ancella invece ha lo sguardo fisso verso la scena come se spronasse la giovane donna a portare a termine ciò che ha iniziato, ad affondare ancora di più la lama. Intanto tiene tra le mani un sacco, che di lì a poco conterrà la testa di Oloferne.

In sequenza temporale, tutta questa scena va guardata da destra verso sinistra perché l’ancella, guardando fisso ed in modo determinato verso il generale, con la sua espressione, sprona la ragazza a terminare ciò che ha iniziato, la ragazza infligge il colpo tenendo la testa per i capelli e infine Oloferne sorpreso getta il suo ultimo grido di dolore.

Inoltre, andando a notare l’espressione della vecchia, notiamo che è come se lei non vedesse l’ora che Oloferne muoia quasi come se volesse dare lei il colpo di grazia; invece guardando l’espressione di Giuditta sembra come se lei fosse un po’ “schifata” nel compiere quel gesto, ma allo stesso tempo determinata e decisa a portare a termine la sua missione. Con ciò Caravaggio ci vuole comunicare che Giuditta è un’eroina che pur ritenendo quel gesto disgustoso, compie la sua missione per salvare il popolo di Dio. Guardando le sue braccia tese, messe ancora più in risalto dalla luce proveniente dall’alto a sinistra dello spettatore, io penso che Caravaggio ci volesse dire che Giuditta, per uccidere Oloferne, ci stesse mettendo tutto il suo coraggio…

In realtà nella storia narrata dalla Bibbia, l’ancella non era anziana ma penso che Caravaggio l’abbia voluta rappresentare così per creare un contrasto tra le due donne e mettere in risalto ancora di più le qualità di Giuditta. Quest’ultima è giovane, bella con un corpo bellissimo e con una pelle che sembra vellutata, al contrario l’ancella è brutta ed ha un viso sgraziato, con un naso sporgente, con evidenti rughe della vecchiaia (per niente attraente!!!). A mio parere, è come se Caravaggio, con il personaggio dell’ancella, avesse voluto mostrarci la vecchiaia in tutta la sua realisticità. È stupendo osservare come abbia dipinto alla perfezione quelle rughe e quelle linee proprio come normalmente si vedono sui volti delle persone molto anziane. Caravaggio è un’artista nel dipingere la realtà. Così, nelle due donne, percepiamo la differenza tra gioventù e vecchiaia, tra inesperienza ed esperienza, tra vita e morte, tra virtù e peccato…

Per quanto riguarda l’ambientazione la scena si svolge dentro una stanza (quella che si presuppone sia la tenda di Oloferne), quindi l’ambientazione è al chiuso. Lo sfondo è tutto buio e si nota unicamente un drappo rosso che viene illuminato da quella “luce radente” che parte da sinistra in alto e che illumina ciò che sta avvenendo in quel momento nella stanza. Infatti, a parte questo drappo rosso, tutta la scena è contornata dal buio e i tre personaggi sono messi in risalto proprio da quella luce che Caravaggio usa volutamente come un riflettore per illuminare ciò che più conta nella scena. Essendo in un ambiente chiuso questo fascio di luce ha una doppia funzione: da un lato mette in evidenza i tre personaggi e il gesto che Giuditta sta compiendo e dall’altro rappresenta la Grazia Divina che guida le braccia della giovane ragazza. Infatti osserviamo ancora che Giuditta è particolarmente illuminata da quella luce rispetto agli altri due personaggi. Diciamo che “la luce radente” era una tecnica rivoluzionaria propria di Caravaggio e qualche accenno ad essa lo abbiamo visto già nell’ “Annunciazione” di Leonardo Da Vinci (dove l’Arcangelo e Maria sono rivestiti da un fascio di luce divina). Ma Caravaggio a mio parere è geniale perché mettendo a contrasto luce ed ombra non solo dà importanza a ciò che per lui conta di più, ma costruisce anche una profondità dello spazio non tanto con la prospettiva, quanto attraverso il contrasto che la luce provoca nel mettere in risalto i corpi facendoli emergere improvvisamente dal buio.

Per quanto riguarda la prospettiva, il punto di fuga è situato in alto a sinistra dove inizia il fascio di luce; anche se, come ho già ribadito, la profondità dello spazio, anche in questo dipinto, non è resa tanto dalla prospettiva quanto dal contrasto tra la luce e l’ombra e cioè dal fatto che il fascio di luce, illuminando i tre personaggi, li fa emergere in primo piano dal buio.

Invece, i colori utilizzati nell’opera sono nel complesso molto scuri, ad eccezione del bianco del corpetto di Giuditta, del colore del volto e delle braccia della ragazza, del rosso vivo del sangue che sgorga dal collo di Oloferne e dei punti dove il drappo rosso risulta illuminato. Questi elementi, essendo rivestiti dalla “luce radente” vengono messi in risalto rispetto agli altri volutamente dal pittore che si serve delle gradualità di colore per renderli più luminosi. Comunque, per vari punti che ora vi andrò ad elencare, posso dedurne che Caravaggio usa la pittura tonale:

  • I colori sono cupi, non hanno vivacità.

Come ho detto sopra, le uniche eccezioni sono costituite dal drappo rosso che fa da sfondo alla scena e dal corpetto bianco di Giuditta. Il drappo è di colore rosso perché Caravaggio vuole comunicarci la violenza e l’efferatezza della scena e il corpetto è bianco perché il pittore ha scelto questo colore per mettere ancora di più in risalto il candore di Giuditta che è colei che salverà il popolo ebraico. È anche vero che dalle analisi radiografiche si è scoperto che il bianco è stato aggiunto in un momento successivo da Caravaggio, forse per rispettare il pensiero della Chiesa che non riteneva idonea la rappresentazione di Giuditta originariamente a seno nudo.

  • Abbiamo la presenza di molti chiaroscuri nell’opera (caratteristica della pittura tonale che Caravaggio fa propria);
  • I colori sono pochi e non sono in contrasto tra di loro; notiamo la bellezza del marrone della gonna di Giuditta resa bellissima dalle variazioni del colore che ne fanno risaltare i dettagli e notiamo che essa è in accordo con il marrone (di una tonalità diversa però) del sacco dell’ancella. Un altro colore che va notato è la coperta verde scuro in cui è avvolto il generale Oloferne che va perfettamente in accordo con la tonalità bianco-scura del materasso su cui è steso.

Una nota di merito va resa anche al chiaroscuro e alle gradazioni di colore usati per il drappo rosso.

Ed è proprio grazie a queste gradazioni di colore e al chiaroscuro che ne risulta, che Caravaggio ottiene un effetto di contrasto tra luce ed ombra che lascia stupito lo spettatore.

  • La pittura è stesa a velature, a più strati.

Ovviamente nella scena in cui si svolge il salvataggio del popolo d’Israele, l’atmosfera è molto cupa perché come vi ho già detto prima, Caravaggio nell’opera usa pochi colori (infatti abbiamo solo il rosso, il verde scuro, il bianco e il marrone) e per la maggiore essi sono privi di vivacità (a parte il colore bianco usato volutamente per mettere molto in risalto la purezza della giovane donna e il drappo rosso che fa da sfondo alla scena), colori cupi in quanto in quella stanza sta avvenendo un delitto violento, che sebbene sia guidato dalla Grazia di Dio ,è pur sempre violento. Notiamo quindi la differenza con Michelangelo che nel pennacchio angolare della volta della Cappella Sistina usa la tecnica della pittura timbrica per rappresentare lo stesso argomento che in quel caso è pieno di sacralità ma privo di violenza.

Tornando al dipinto, notando la composizione dei colori e andando a vedere i vestiti, notiamo che Giuditta non è vestita come una tipica donna del VI sec. A.C. ma come una donna dell’epoca di Caravaggio. Io penso che Caravaggio, dipingendo Giuditta con vestiti delle donne di quell’epoca, volesse rendere il dipinto “attuale” comunicandoci che la paura della morte è sempre attuale quando si è peccatori…Infatti, come ho già accennato, andando a notare il viso di Oloferne, lo possiamo identificare con la faccia di Caravaggio; infatti, grazie agli studiosi, abbiamo ricavato informazioni utili sulla vita di Caravaggio: ovvero, non avete mai notato in due o più dipinti (oltre a “Giuditta e Oloferne” un altro esempio è “Davide e Golia”) che la faccia del peccatore è un autoritratto dell’autore? Ebbene sì, Caravaggio, essendo stato un grande peccatore (infatti se la spassava spesso con cortigiane e prostitute, giocava d’azzardo e veniva coinvolto spesso nelle risse…) aveva paura della morte e in molti dipinti lui si rappresenta come quel peccatore che ha timore del giudizio divino. Può sembrare una cosa da poco ma è tutto vero! Lui infatti non andava molto d’accordo con la Chiesa perché dava molta importanza ai valori terreni; fu anche costretto a fuggire per scampare alla pena capitale perché in un duello con un suo rivale in amore per la cortigiana Fillide Melandroni, Caravaggio uccise il rivale e fuggì per molti anni per tutta Italia. Secondo alcuni storici, ricevuta la notizia di un’imminente perdono da parte del papa, il pittore si mise in viaggio per Roma per consegnare come ringraziamento per la libertà alcuni suoi dipinti, così fece anche sosta a Ladispoli, ospitato lì dalla famiglia Orsini mentre aspettava la notizia del perdono, e quando riprese il viaggio per Roma egli trovò la morte, per le sue condizioni di salute che erano peggiorate, a Porto Ercole…

Per quanto riguarda la critica contemporanea a Caravaggio, sappiamo che il dipinto “Giuditta e Oloferne” è citato da un artista-rivale Giovanni Baglione in “Vite de’ pittori, scultori et architetti dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino ai tempi di Papa Urbano VIII nel 1642;(Roma)”:” Colorì una Giuditta che taglia la testa ad Oloferne per i signori Costi…” E poi anche Bellori ne parla in “Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni (1672)”.

Purtroppo nei secoli il valore di Caravaggio si perse e solo a partire dal 1950, grazie a Roberto Longhi, ci fu di nuovo un grande interesse nei confronti dell’artista, inoltre molti critici contemporanei dei nostri giorni hanno valutato e commentato il dipinto di Caravaggio. Ve ne cito alcuni esempi:

  • In una conferenza del 2011 Silvia Danesi Squarzina ha accennato al “teatro della crudeltà” a proposito della Giuditta (“Caravaggio e il teatro della crudeltà”, Conferenza del 2011, Firenze).
  • Vittorio Sgarbi, nella sua opera “Il punto di vista del cavallo”, commentando il dipinto, dice che Giuditta sembra “schifata”, perché compie il gesto tendendo il più possibile le braccia; lei ha paura di sporcarsi, non vorrebbe farlo ma deve farlo e sembra quasi chiedere scusa mentre sta concludendo la sua missione di mozzare la testa del Generale nemico.
  • Il critico Roberto Longhi, nella sua opera “Caravaggio” (1968) definisce il tutto immerso nelle tenebre che interrompono le figure e riguardo a Giuditta afferma “…Il delicato e l’avventante di questa Fornarina del naturalismo reggono a stento (e se ne schivano infatti) al terrore enorme del gigantesco scannato e del tendone sanguigno che incombe sul fattaccio…”
  • Il critico Maurizio Calvesi, nell’opera “Le realtà di Caravaggio”(1990) afferma che “ Caravaggio…” ,a differenza degli altri pittori che hanno trattato questo tema,”… intende far rivivere il racconto biblico, al quale e’ senz’altro più fedele… I drappi del baldacchino(presenti anche nei dipinti del Sabatini e del Michelangelo) e la serva che scruta stanno dunque a suggerire il seguito dell’azione: il corpo che rotolerà, l’inserviente che insaccherà la testa; ma l’azione stessa, descritta al suo termine da Michelangelo e quasi dimenticata nella presentazione del Sabatini ,è invece colta dal Caravaggio nel momento saliente, quando la lama taglia la testa ghermita per i capelli da Giuditta. Anche in un altro fondamentale dettaglio il Caravaggio risulta più fedele al testo biblico: tanto Michelangelo che il Sabatini e gli altri autori ci mostrano Oloferne supino e non bocconi, come invece doveva trovarsi dal momento che “traboccante di vino, era caduto in avanti sul letto”(Gdt., 13,2).Caravaggio è andato a leggersi anche questo versetto, che costituisce una prima spiegazione per la strana positura di Oloferne, facile a scambiarsi per un contorcimento d’eco ancora manieristica: e di qui, forse, l’ impressione di un comporre meno ‘sciolto’ del solito… In realtà è proprio il gesto di Oloferne che, ben valutato, suggerisce “l’attimalità dell’azione” e contribuisce a farne scattare il tempo e l’evidenza. Il guerriero, steso sul letto, tenta di sollevarsi e di girarsi mentre la morte sopravviene improvvisa; nel vano tentativo punta la palma della mano: a dita aperte, per far più forza; anche la testa che sta per essere completamente recisa, si gira, e lo sguardo annaspante, già annebbiato dalla morte, punta verso l’alto di dove piove il fiotto di luce, quasi cercando un riscatto…. L’azione isolata nell’attimo del suo compiersi, mentre si carica di credibilità ed evidenza, al tempo stesso assume una extra-temporalità, che è congeniale alla dimensione eterna, ’senza tempo’, del simbolo. Come infatti diceva Agostino-cui mi è sembrato che Caravaggio porga l’orecchio-ha torto sia chi nega la storicità degli eventi biblici, sia chi disconosce la loro portata allegorica: sono vere entrambe le cose e il Caravaggio si preoccupa di farlo sentire…Nella Giuditta è piano intendere questo significato dottrinario e allegorico (o spirituale, come si diceva), significato che scaturisce dall’incredulità stessa del gesto-che va invece creduto, e spiegato. È possibile che una donna trovasse tanta forza da mozzare con quei colpi il collo di un potente guerriero? Caravaggio risponde di sì, facendo vedere come i colpi furono inferti; e spiega anche come mai, lo spiega con la luce violenta che irrompe la scena. La fragile Giuditta appare sconcertata dal proprio gesto. A differenza della vecchia, che spinge gli occhi verso lo spettacolo raccapricciante, ella quasi si scosta, un’aura di pietà e di spavento le imbroncia il volto teso, perfetto, mentre affonda gentilmente la affilatissima lama con un gesto violento, privo di ogni contrassegno esteriore di forza, appena più energico del colpo di coltello di una massaia che affetti una torta. Non è lei, in realtà, che taglia la testa ad Oloferne, ma Dio per sua mano;…”
  • Rossella Vodredt , nella sua opera “Giuditta che taglia la testa a Oloferne, in Caravaggio”(Roma 2010),afferma: ”…Giuditta che taglia la testa a Oloferne è unanimemente considerata uno dei massimi capolavori di Caravaggio…”.
  • Francesca Santucci ,nella sua opera “Messaggi dall’antichità”(settembre 2005),a proposito del dipinto, afferma: ”Altri artisti ebbero un temperamento impetuoso come quello di Caravaggio, ma nessuno seppe imprimere come lui un’espressività così intensa, che potè esplicitarsi al massimo nella trattazione di soggetti biblici poiché la sua arte andava ad innestarsi su una certa tradizione del pensiero estetico nell’ambito della Controriforma; infatti, in base ai principi didattici propugnati dalla Chiesa post-tridentina, per favorire al massimo la partecipazione dei fedeli si preferiva la raffigurazione delle storie evangeliche il più possibile realistica, ed in ciò l’artista seppe raggiungere vette eccezionali…”.

Per quanto mi riguarda, è da pochi mesi che sto imparando ad osservare un’opera e ad analizzarla, ma la prima volta che ho visto il dipinto “Giuditta e Oloferne” di Caravaggio, mi ha suscitato molte emozioni: in un primo momento mi ha affascinato la bellezza di questa tela e poi ai miei occhi sono risaltate alcune parti delle posizioni ed espressioni dei personaggi che ora vi andrò a citare…

La prima cosa che mi è saltata agli occhi è stata la posizione sul letto di Oloferne, perché, come ho citato sopra, costui aveva la posizione delle braccia come se egli volesse alzarsi dal letto mentre la vedova ebrea gli tagliava il collo; per me la sua reazione è un gesto molto coraggioso perché anche se era stato appena trafitto nel collo dalla scimitarra, sembrava reagire e ciò mi ha trasmesso un forte senso guerriero, di coraggio come se il generale fosse pronto ad attaccare il nemico anche se la sua testa era tagliata per quasi la metà; un’altra cosa che mi è saltata agli occhi, è stata l’espressione di Giuditta, ovvero se guardate bene, Giuditta è disgustata dal gesto che sta compiendo, ma mi ha colpito il coraggio che lei ha ad affrontare questo generale, pur di salvare il suo popolo. Inoltre quello che più mi ha colpito, non so se l’avete notato è che… non vi ha stupiti il fatto che una donna così bella e aggraziata potesse compiere un gesto così coraggioso ma allo stesso tempo anche crudele? A me ha colpito tanto questa cosa perché mi mimetizzo nei panni di Oloferne; chi se lo sarebbe aspettato che una donna bellissima avrebbe fatto quella cosa orrenda, ma coraggiosa per salvare il suo popolo!!!

Come ho detto, Giuditta è disgustata da questo gesto perché le fa ribrezzo vedere il sangue che scorre fuori come una fontana dal collo di Oloferne; lei ha una posizione come se non volesse decapitare il Generale, ma come ho detto è allo stesso tempo coraggiosa, perché secondo me pensa al suo popolo che sta soffrendo, è incitata a compiere questo gesto dalla vecchia Abra ed è guidata dalla Grazia Divina.

Altra cosa che mi ha colpito è stata l’espressione di Abra, l’anziana ancella che pur essendo molto vecchia, ha dimostrato di essere molto crudele e allo stesso tempo si è dimostrata molto furba, incitando il volto disgustato di Giuditta a compiere quel gesto crudele per salvare gli ebrei ed inoltre ha portato un panno per avvolgere la testa del Generale, senza che nessuno dei soldati si accorgesse della testa.

Ma la cosa che più mi ha colpito di questo dipinto è la storia che si cela dietro di esso, perché per me è stato interessante scoprire chi si celava dietro ai volti di Giuditta e di Oloferne; inoltre mi ha affascinato la semplicità dello sfondo del dipinto, perché ha come sfondo solo un pezzo di tenda rossa, che è come se Caravaggio ci mostrasse una scena teatrale e ci stesse dicendo di focalizzarci sui soggetti.

Questo è secondo me uno dei più bei dipinti di Caravaggio perché è come se noi fossimo dentro al dipinto, davanti ad un palco ad osservare la scena come in una specie di realtà virtuale e non finirò mai di dire che “Giuditta ed Oloferne” mi ha affascinato proprio per questo.

PISACANE ANTONIO 2A

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