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E se dedicassimo il Sentiero di Lawrence ai Zapicchi?

di Giovanni Zucconi

Voi dedichereste una via cittadina ad uno scrittore che ha parlato molto male di Cerveteri in una sua celebre opera? Si può discutere, ma credo che, almeno in prima battuta, non sareste molto d’accordo. Eppure, da molto tempo, anche se non saprei dire da quando è iniziata questa consuetudine, l’antico percorso che si percorreva dalla città per arrivare agli scavi del Mengarelli nell’attuale Necropoli della Banditaccia, si è sempre chiamato “Sentiero di Lawrence”.

Io paragono questa dedica a un’ipotetica targa marmorea posta su una casa di Cerveteri su cui ci sia scritto: “Qui, nel giugno del 1865, vi alloggiò Giuseppe Garibaldi, ma ci si trovò malissimo e lasciò Cerveteri imprecando”.

Per capire di cosa io stia parlando, dobbiamo riprendere il bellissimo “Luoghi Etruschi” del celebre scrittore inglese David Herbert Lawrence, più noto per avere scritto il romanzo “L’amante di Lady Chatterley”. Il suo racconto di viaggio nella Tuscia è un atto d’amore verso il popolo etrusco, del quale lui apprezza soprattutto la gioia di vivere, la sua vicinanza al mondo naturale, e la sua istintività che lui contrappone alla volontà di potenza del mondo romano. Anche nelle tombe delle sue vaste necropoli lui vede la testimonianza di un mondo felice e quasi spensierato. Così come la vita è un sereno viaggio nei piaceri e nella bellezza, così la morte non può che esserne la continuazione. E quindi le ultime dimore non potevano che essere belle e raffinate. Scriveva dell’Etruria: “Poiché la vita sulla terra era così bella, la vita sottoterra non poteva esserne che la continuazione“. Lawrence ha sicuramente amato appassionatamente gli Etruschi. Ma ha apprezzato allo stesso modo Cerveteri quando l’ha visitata nel 1927? Giudicatelo voi. Di seguito un riassunto di quanto Lawrence ha scritto sulla nostra città.

La nostra preziosa guida ferroviaria italiana dice di scendere alla stazione di Palo: Cerveteri è a otto Km e mezzo […]. Arriviamo a Palo […] e chiediamo se c’è un mezzo per Cerveteri. No! Fuori è ferma una vecchia carrozza con un vecchio cavallo bianco. Dove va? A Ladispoli […]. Non ci sarebbe un qualunque mezzo di trasporto? E’ difficile. E’ sempre così dicono: difficile. […]. C’è un albergo a Cerveteri? Non si sa. […] anche se è solo a cinque miglia e ci sono delle tombe. […] ci mettiamo in cammino […]. Davanti ci sono le colline, con sopra un paese grigio dominato da un brutto edificio grigio: ecco Cerveteri. […]. Attraversiamo la porta […] in cerca di un posto dove mangiare. Vediamo un insegna di “Vini e Cucina”, ma è solo un grottino fondo dove alcuni mulattieri bevono vino rosso. Chiediamo […] se c’è un altro posto dove mangiare. Ci risponde di no; […] Sulla sinistra sorge la cittadella […]. Ma il luogo ora è abbandonato, dominato da un grande e uggioso edificio […] con sotto una specie di desolato cortile in rovina circondato da mura povere e cadenti. E’ tutto abbandonato oltre ogni dire, morto […]. La ragazza della taverna, bella ragazza e pessima cuoca, ci ha trovato una guida, che neanche a dirlo è suo fratello, che ci porterà alla necropoli. E’ un ometto di circa quattordici anni, scontroso come tutti in questo paese abbandonato, e non dà confidenza. […] ci camminano davanti ignorandoci il più possibile. Il forestiero è sempre una minaccia. […]. Caere, anche settecento anni prima di Cristo, doveva essere ricca e piena di sfarzo, amante del duttile oro e dei banchetti, della danza e dei grandi vasi greci. Ma oggi non c’è più nulla di tutto questo. Le tombe sono nude: i tesori che hanno dato […] sono nei musei. Se vi recate sul posto vedrete, come ho visto io, una cittadina grigia e abbandonata […] e qualche sepolcro vuoto.”.

Come avete potuto leggere, non è che Lawrence abbia descritto un quadretto così entusiasta di Cerveteri. Quella che emerge è l’immagine di una città arretrata e inospitale. Che ha come unico pregio quello di accogliere sul suo territorio le ultime splendide dimore dei progenitori Etruschi. Il suo giudizio su quello che trova a Cerveteri è severo, anche sulle persone che incontra, e non è mai mitigato da un cortese tentativo di comprensione. La nostra città ne esce maluccio, anche se naturalmente non si era inventato nulla.

Premesso tutto questo, vi rifaccio la domanda: è proprio necessario dedicare a David Herbert Lawrence il sentiero che è stato per decenni la via più breve per arrivare a piedi alla Necropoli della Banditaccia? Non abbiamo proprio nessuno a cui dedicarlo? Non è che consideri scandaloso dedicarlo al grande scrittore inglese, ma forse, cercando bene, qualcun’altro lo possiamo trovare.

E se dedicassimo il Sentiero di Lawrence ai Zapicchi?
E se dedicassimo il Sentiero di Lawrence ai Zapicchi?

Vi sembrerà strano, ma un indizio di chi potremmo considerare in alternativa a Lawrence lo possiamo trovare proprio nel brano che abbiamo appena letto.

Proviamo a rileggere. Uno dei personaggi che ne esce di più con le ossa rotte dal suo racconto, è per me il ragazzo che lo accompagnò fino alla Necropoli, e che gli fornì le spiegazioni sul contesto e sulle tombe che visitarono. Un ragazzo che ci viene descritto come impreparato e poco socievole. Devo dire che anche io, in qualche articolo, l’ho citato come esempio della tradizionale poca propensione dei Cerveterani delle vecchie generazioni ad accogliere i cosiddetti “forestieri”.

Ma, da altre fonti, possiamo scoprire che i fatti non si sono svolti proprio così. E che Lawrence, quel giorno, aveva probabilmente un po’ la puzza sotto il naso. Non è una storia nuova per i vecchi Cerveterani, ma vale la pena raccontarla al grande pubblico. Soprattutto per supportare la mia proposta di intitolare ai Zapicchi il sentiero che porta alla Necropoli della Banditaccia.

Sì, proprio ai Zapicchi. Perché leggendo il libro di Benedetto Zapicchi, “Racconti Ceretani”, dove riporta anche le confidenze del padre Cesare, scopriamo che il ragazzo così malamente presentato da Lawrence era proprio Cesare Zapicchi, il mitico assistente di scavo della Necropoli della Banditaccia. Che ha aiutato generazioni di archeologi a portare alla luce molte delle più importanti tombe etrusche di Cerveteri.

Dalla testimonianza del figlio, scopriamo che il signor Cesare ha sempre avuto il dente avvelato nei confronti dello scrittore inglese, e nel libro ci spiega perché: “Lo accompagnai e risposi a una serie di domande da terzo grado e, siccome scriveva tutto sul taccuino, rimanemmo diverso tempo all’interno delle tombe”. Poi aggiunge: “…fu ingeneroso nelle descrizioni su “Paesi Etruschi”, scrisse che farfugliavo le spiegazioni, come se fossi balbuziente, e non ricordò invece, che l’avevo accompagnato pur avendo quaranta gradi di febbre e, nelle tombe, ci soffrivo il freddo. La febbre era data dalla ferita alla mano che si era infettata e che più tardi si rese necessaria l’amputazione del dito.”.

Questo trattamento così ingeneroso non fu mai perdonato da Cesare Zapicchi che, come ci racconta suo figlio, non ha mai parlato volentieri di questa storia. Inoltre, come leggiamo nel libro di racconti e di memorie che abbiamo citato prima, Cesare Zapicchi si vendica, accusando Lawrence di essersi attribuito la paternità di considerazioni sugli Etruschi che invece aveva appreso da lui durante la visita alla Necropoli: “…gli detti tante informazioni sul popolo etrusco, che lui fece sue, trascrivendole come considerazioni, fatte sulla spiaggia di Ladispoli. Ed erano informazioni di prima mano perché nelle cattedrali di allora si cantavano ben altre messe.”.

Spero che questa puntualizzazione vi faccia leggere quell’episodio di Paesi Etruschi con altri occhi, così come è successo per me. E spero anche che la mia proposta di dedicare ai Zapicchi il sentiero che ci ostiniamo a chiamare di Lawrence, non vi sembri così inopportuna o peregrina.

Ma non è finita qui. Il legame dei Zapicchi con Lawrence ha in serbo ancora un’altra sorpresa. Una fantasia, una suggestione, che coinvolge un altro Zapicchi: Luigi. Il nonno del compianto Benedetto, che però vi racconterò in un prossimo articolo.

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