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Caso Vannini, l’8 Gennaio la prima udienza in Appello

Caso Vannini, l’8 Gennaio la prima udienza. La data è ormai vicina. E’ quella dell’inizio del processo in secondo grado per l’omicidio di Marco Vannini, il giovane di Cerveteri morto a casa della famiglia della sua fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli.

In primo grado tutta la famiglia era stata condannata per la morte del giovane. La pena più pesante era andata al capo famiglia, Antonio Ciontoli condannato a 14 anni per omicidio volontario. I suoi due figli, Federico e Martina, e la moglie Maria Pezzillo erano stati condannati dai giudici a tre anni per omicidio colposo, mentre la fidanzata di Federico, Viola Giorgini, era stata assolta.

A parte per il capofamiglia la pm D’Amore è tornata a chiedere l’omicidio volontario per i tre componenti della famiglia e l’omissione di soccorso per Giorgini. 

Ma l’accusa non è la sola ad aver presentato ricorso contro la sentenza di primo grado. Anche i legali della famiglia Ciontoli hanno deciso di percorrere la stessa strada. I legali, come già preventivato a poca distanza dalla lettura della sentenza da parte dei giudici della Corte d’Assise di Roma, hanno sostanzialmente riproposto tutte le “incongruenze” rilevate durante il dibattimento, relativamente alla ricostruzioner dei soccorsi fatta dal collegio dei periti nominata dalla Corte.

Ancora una volta gli avvocati Andrea Miroli e Pietro Messina puntano i riflettori sulla sentenza ThyssenKrupp.

La corte, a loro modo di vedere, avrebbe ignorato “una svolta – aveva spiegato Messina – rispetto le nozioni pregresse, sulla previsione dell’evento che non appare più come elemento determinante per stabilire la volontà dell’evento morte”.

Nel ricorso dunque, i due legali ribadiscono ancora una volta come non fosse volontà di Antonio Ciontoli far morire Marco (chiedendo dunque che da omicidio volontario si passi all’accusa di omicidio colposo). Per i due avvocati da rivedere è anche la posizione dei tre componenti della famiglia Ciontoli, condannati a tre anni per omicidio colposo. “La sentenza – aveva infatti spiegato Messina – a nostro giudizio è molto contradditoria.

Da una parte si esclude la consapevolezza della situazione così come si poteva rappresentare al capofamiglia e dall’altra attribuisce a questa, un mancato intervento o delle mancate sollecitazioni rispetto a quello che era successo”.

Insomma, se effettivamente Martina, Federico e Maria Pezzillo non erano a conoscenza dello sparo di pistola, per i legali, a loro non si potrebbe imputare il non aver fornito “informazioni precise ai sanitari su come si era arrivati al ferimento”.

“Abbiamo sottolineato – aveva proseguito l’avvocato Messina – che se è vero, come ha dimostrato il dibattimento, che i famigliari non avevano la consapevolezza di quanto accaduto, non avevano responsabilità e alcuna posizione di garanzia rispetto alla necessità di sollecitare, di precisare i contorni della vicenda ai sanitari”.

A loro potrebbe essere addebitata “l’omissione di soccorso, ma non certamente un valore nel nesso di causalità tra il ferimento e l’evento morte”.

Nel ricorso in Appello dunque i due legali hanno chiesto l’assoluzione di Martina, Federico e Maria Pezzillo e in subordine l’omissione di soccorso.