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Agresti: “far pulire dove si ha sporcato non è una punizione”

Una riflessiva lettera del Preside di Ladispoli sul ruolo educativo dei lavori socialmente utili

Agresti: “far pulire dove si ha sporcato non è una punizione” –

Il lavoro socialmente utile è al centro di una riflessione del professor Riccardo Agresti che ne parla partendo dallo scopo educativo dello spingere i ragazzi a rimediare ai propri danni.

“L’atteggiamento della nostra Scuola di pretendere, ad esempio, che i ragazzi puliscano laddove abbiano sporcato non ha alcun aspetto punitivo (la punizione non insegna mai nulla) – si legge -, ma ha lo scopo di far comprendere loro in motivo per cui certi atti sono “sbagliati”, soprattutto quando si vive in società e si deve avere rispetto per il prossimo”.

“Sebbene sia in capo al personale collaboratore scolastico il ripristino, la pulizia e la disinfezione dei locali, è comunque indegno ed indecoroso che il personale ripulisca da ogni sorta di immondizia incivilmente lasciata sotto i banchi, a terra nelle aule o nelle ritirate.

Tale incivile comportamento indica da un lato una immaturità ed una maleducazione degli studenti, la cui responsabilità è ovviamente dei loro genitori, chiaramente incapaci di insegnare educazione e rispetto ai loro figli, ma indica anche una colpevole indifferenza dei docenti che o non desiderano chiarire il proprio importante ruolo di educatori davanti a genitori a volte volgari e violenti o evidentemente ritengono l’educazione civica un insegnamento di valore inferiore a quello di cui sono titolari. Eppure, (ancora più necessariamente nella attuale fase di pandemia da CoViD-19), non far rispettare la pulizia ed il decoro è chiara evidenza di incapacità a svolgere l’elevato compito di insegnante.

Che i ragazzi fatichino nel pulire un’aula o si adoperino per ripulire la propria postazione a mensa (quest’anno non fattibile per le note motivazioni) serve anche a far comprendere loro il duro lavoro, spesso delegato alla sola loro madre. Serve a far sì che apprezzino il duro lavoro casalingo. Serve a far sì che amino maggiormente la mamma comprendano la fatica di continuare a lavorare in cucina dopo una giornata trascorsa al lavoro fuori e, una volta adulti, serve a far sì che, se maschi, rispettino le donne.

Ciò che vogliamo far comprendere ai ragazzi è che lavorare non è una punizione (anzi!), ma che chi lavora non sta sempre “divertendosi” (credo non lo sia asciugare la pipì fatta fuori dalla tazza o la cacca spalmata sulle pareti) e che certamente chi lavora non è servo di nessuno. Nemmeno di chi lo paga, se lo paga. Non dimentichiamoci che è noto che 2 italiani su 3 evadano le tasse, le stesse con cui vengono pagati medici ed infermieri che ci accolgono in ospedale, con cui vengono pagate le forze dell’ordine che ci difendono, con cui vengono pagate le ditte che aggiustano le strade … con cui vengono pagati docenti e “bidelli”.

Che la nostra strategia didattica funzioni, lo sapremo con il passar del tempo, ma da quanto scrive nella sua relazione un ragazzo, che per tre giorni ha lavorato accanto alle collaboratrici scolastiche aiutandole nel loro lavoro perché aveva commesso una “ragazzata”, forse siamo sulla strada giusta.

Ho sempre preso il lavoro come un gioco,

Non ho mai prestato attenzione al fatto che c’è chi si rompe la schiena e lavora sodo per farci stare bene, e noi sappiamo solo fare sempre peggio.

Ho voluto cogliere quest’occasione per dare il meglio di me ed impegnarmi col sorriso.

Per me è stata un’esperienza formativa, mi ha fatto capire il disagio e la fatica provate da chi lavora.

Ho capito che è importante rispettare il lavoro altrui ed è da non deridere.

Ho capito che lavorare e più difficile di quanto sembra, e che è importante il rispetto verso gli altri.

Devo ammettere che mi sono anche divertito, i “colleghi” sono stati simpatici e accoglienti.

Sono dell’idea, che mi ha fatto davvero bene cambiare aria.