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“La notte più buia”. Cronache di una generazione che ha ancora molto da insegnare alle attuali e alle future



Intervista all’autore Roberto Gramiccia

“La notte più buia”

di Giovanni Zucconi

Oggi presenteremo un libro particolare. Particolarmente bello e particolarmente interessante. Si intitola “La notte più buia”. Ma è il sottotitolo che indirizza meglio il lettore: “Cronache di una generazione”. L’autore è il poliedrico Roberto Gramiccia. Medico, giornalista, attivista politico, critico d’arte e collezionista di opere di artisti contemporanei, oltre che scrittore di numerosi saggi. Il libro è edito da Mimesis.

Come ci ricorda l’autore, il libro è stato scritto durante la fase acuta della pandemia di Covid-19. Che sicuramente è stata la molla per raccontarsi. Per riempire con la scrittura quei giorni angosciosi. Ma non è la protagonista del libro. La protagonista, oltre l’autore che si racconta, è la sua generazione che fa da sfondo alle sue vicende personali. Una generazione, quella che ha vissuto gli importanti anni ’60, ’70 e ’80 del secolo scorso, che probabilmente è irrepetibile, come tutte le generazioni, ma che è stata l’artefice di una stagione di cambiamenti e di lotte di cui ancora ne godiamo, spesso inconsapevolmente, i frutti.

Perché dico che è particolarmente bello e interessante? Proprio perché la tecnica narrativa di Gramiccia riesce ad umanizzare la Storia. Te la fa sembrare più vicina, più tua. E la guardi con occhi diversi. La Storia cessa di essere una cronaca lontana nel tempo, e diventa vita vissuta. Più vicina a te, e per questo, forse, ancora più bella. Anche quando si parla di pagine terribili come quella del terrorismo. Gramiccia condivide i suoi ricordi, ma la sua storia si intreccia con la tua. Ti rendi conto di essere stato sullo stesso palcoscenico, e di aver recitato la stessa commedia. La Commedia, o la Tragedia, della vita.

“La notte più buia”. Cronache di una generazione che ha ancora molto da insegnare alle attuali e alle future
“La notte più buia”

Dopo questa breve introduzione, riportiamo l’intervista che l’autore ci ha gentilmente concesso.

Il sottotitolo del libro è “Cronache di una generazione”. Cosa pensa che possa ancora insegnare la sua generazione a quelle nuove o future?

“Faccio una piccola premessa. Il libro prende spunto dall’esperienza dolorosa, collettiva, del Covid per fare una riflessione su quella che è stata la storia della nostra generazione, alla luce dei problemi attuali. Che peraltro nel libro vengono profondamente esaminati. Il libro è una specie di risposta all’angoscia portata dal Covid. Che getta luce su un periodo, per farne la storia e per vedere attraverso quali percorsi siamo arrivati ai guai che poi hanno caratterizzato la pandemia. Cioè una storia che va dal come eravamo al come siamo. Fatta questa sintetica premessa, le rispondo dicendo che la storia della mia generazione ha dimostrato, per molti decenni, che pur partendo da una condizione di disagio che era quella che seguiva la fine della Seconda Guerra Mondiale, attraverso il trentennio glorioso che va dalla fine degli anni ‘40 fino alla fine degli anni ’70, si sono potute creare le situazioni che hanno spostato in avanti gli assetti di progresso, di civiltà e di vita democratica del nostro Paese. La mia generazione ne è stata protagonista. Ha vissuto la realizzazione delle più grandi riforme della storia di questo Paese. Dallo Statuto dei Lavoratori fino alla riforma sanitaria. Passando per la legge sul divorzio e dell’aborto. Solo per fare alcuni esempi.”

Quale è la lezione che si può trarre quindi dal suo libro?

“La lezione è che in un momento in cui l’impegno sociale e collettivo era massimo, furono strappate delle riforme straordinarie. Poi, dagli anni 80 in poi, con l’affermarsi del riflusso, queste conquiste sono venute progressivamente meno. Fino ad arrivare ai nostri tempi, che sono caratterizzati da bilanci molto più spostati verso gli armamenti, la produzione e la vendita di armi che non verso la sanità pubblica, tanto per fare un esempio significativo.”

Quindi in quel periodo c’era molta più partecipazione, e un ascensore sociale che adesso le nuove generazioni possono solo leggere nel suo libro

“Esatto. Esisteva un ascensore sociale che però non era stato messo gratuitamente a disposizione di chi gestiva il potere. Perché era stato strappato dalle lotte popolari e dal movimento dei lavoratori. C’era la possibilità che tutti potessero ottenere un diploma o una laurea. Non c’era una giustizia sociale perfetta, ma tendenzialmente tutti avevano la possibilità di migliorare il proprio status sociale. Molto più di adesso.”

“La notte più buia”. Cronache di una generazione che ha ancora molto da insegnare alle attuali e alle future

Nel suo libro, ma anche in altri della sua vasta produzione, parla spesso di fragilità. Se mi devo basare su quanto ho letto, non sono riuscito a collegarla a questo concetto. Mi può aiutare?

“Intanto sono fragile anche io. Ma è proprio la nostra condizione esistenziale che fa sì che ciascuno di noi, anche se non lo sa, anche se c’è un fisico perfetto, apollineo e forte, e un sistema immunitario molto efficace, è comunque fragile. Anche per il fatto che la nostra vita rispetto alle nostre aspettative è molto breve. Molto spesso ci rimane il rimpianto di non aver potuto fare quello che avremmo voluto nella nostra vita. E già questo implica una fragilità che non è superabile. Quindi la risposta che le do molto semplicemente è che io mi sento fragile perché sono consapevole dei tratti fondamentali della condizione umana, non perché mi senta particolarmente sfortunato.”

“La notte più buia”. Cronache di una generazione che ha ancora molto da insegnare alle attuali e alle future
“La notte più buia”. Roberto Gramiccia

Esiste un filo conduttore tra le tre attività fondamentali della sua vita che sono raccontate nel libro? Quella del medico, quella dell’attivista politico e quella del critico e del collezionista d’arte

“Questo filo conduttore naturalmente esiste, ed è proprio la fragilità. La mia vicinanza alla dimensione fragile, ha fatto si che maturassi un’idea politica che fosse in grado di emanciparci collettivamente da questa condizione di fragilità. Quanto meno che potesse operare su quei fattori rimovibili che determinano una fragilità, Come le diseguaglianze, per esempio. Che potesse eliminare quelle condizioni che vengono dalla società, e che si vanno ad aggiungere a quelle naturali. Come le ingiustizie, la povertà, la mancanza di istruzione o di cure sufficienti.”

E l’arte cosa c’entra con la fragilità?

“A mio parere, la natura più intima dell’arte è rappresentata dalla risposta che l’arte produce nei confronti dell’angoscia dell’esistere. L’arte ha un’azione auto terapeutica. Risponde allo sgomento di fronte alle angosce della vita. Per quanto riguarda la medicina e il suo rapporto con la fragilità, immagino che non ci sia bisogno di una spiegazione.”

Ho un’ultima domanda, anche se poco legata a questo suo ultimo libro. Prende spunto dal sottotitolo di un altro suo libro: “Il mondo salverà la bellezza?”. Una frase che trovo bellissima, e forse anche più vera della più famosa “La bellezza salverà il mondo”. Ma sarà veramente così? Abbiamo la speranza che il mondo abbia veramente la voglia e la volontà di salvare la bellezza?

“Bella domanda. Diciamo che per come siamo messi, le previsioni non sono un granché. Il mondo, per come è fatto oggi, non mi sembra che sia particolarmente interessato, o capace di salvare la bellezza. Il mio penultimo libro, che si intitola “Se tutto è arte”, ne dimostra un po’ le ragioni. Consiglio la sua lettura a chi fosse interessato a questo tema e all’arte contemporanea.”

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