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Conte apre, incerti Lega e FDI: ma la strada del Governo Draghi sembra ormai in discesa

Conte apre, incerti Lega e FDI: ma la strada del Governo Draghi sembra ormai in discesa –

Conte apre, incerti Lega e FDI: ma la strada del Governo Draghi sembra ormai in discesa

A 24 ore dall’incarico accettato al Quirinale, la strada di Mario Draghi alle prese con la sua prima sfida politica sembra assestarsi. Anche se non sono ancora chiari i numeri della base parlamentare su cui potrà godere il suo esecutivo, le molte aperture registrate nella prima giornata di consultazioni potrebbero preludere a una nuova maggioranza dai confini più ampi di quella che sosteneva il Conte due. Il Colle apprezza e registra un moderato ottimismo sulla possibilità di una soluzione della crisi. Segnali che la Borsa festeggia e anche lo spread: scende sotto quota 100, un record che non si vedeva dalla fine del 2015.

Dopo il Pd e Italia viva che hanno detto sì a un governo guidato da Draghi, a trainare i consensi è soprattutto Forza Italia, venuta allo scoperto dopo la benedizione di Silvio Berlusconi. «È una personalità di alto profilo istituzionale», rimarca l’ex premier che domani 5 febbraio incontrerà personalmente Draghi, alle consultazioni. E va oltre: attorno all’ex presidente della Banca centrale europea, si può «tentare di realizzare l’unità sostanziale delle migliori energie del Paese». Quanto basta per arricchire la platea di deputati e senatori pro Draghi ma anche per segnare la distanza da Lega e Fratelli d’Italia. Non a caso i tre partiti del centrodestra andranno alle consultazioni divisi.

La Lega è ancora in bilico ma segnata dall’endorsement inequivocabile di Giancarlo Giorgetti: «Draghi è un fuoriclasse come Ronaldo. Uno come lui non può stare in panchina», è la metafora che sceglie il numero due del partito, andando oltre la stima e l’apprezzamento già noto verso il banchiere. Ma fra i parlamentari leghisti nessuno si sbottona. La partita è in mano al segretario, Matteo Salvini.

Dalle parti del Movimento 5 Stelle, invece, il fronte degli scettici dovrebbe rompersi dopo la presa di posizione di Giuseppe Conte. Il premier uscente ha parlato davanti a un tavolino in plexigrass in piazza Colonna con alle spalle non Palazzo Chigi, essendo una comunicazione “non istituzionale”: una mossa che viene letta come la sua discesa in campo. Conte ha chiarito: «Non sono un ostacolo a Draghi». Parole che insieme a quelle di Luigi Di Maio potrebbero portare il movimento nella nuova maggioranza: la linea pentastellata suggerita dall’ex capo politico è ora «Sediamoci e ascoltiamo Draghi». Pesa anche l’intervento di Beppe Grillo che ha contattato alcuni parlamentari della prima ora: «Non cancellate i risultati ottenuti finora come il reddito di cittadinanza e portate avanti alcuni punti, come la digitalizzazione o una patrimoniale ai super-ricchi», è l’invito del Garante del M5S.

Resta la componente che fa riferimento ad Alessandro Di Battista, nettamente contraria a sostenere un governo Draghi. Ma, anche se il M5S subisse una scissione, il nuovo esecutivo dovrebbe avere comunque la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento.

A Montecitorio l’ex presidente della Bce, con l’appoggio di M5s, arriverebbe a 441/451 voti: 191 del Movimento, 93 del Pd, 91 di Fi, 28 di Iv, 4 di Azione, 15 di Centro democratico, 4 del Maie, 4 delle minoranze linguistiche, 12 di Nci. Leu al momento è spaccata tra i 7 di Art.1 che sembrano più favorevoli e i 5 di Sinistra italiana che stanno riflettendo, in attesa delle decisioni di M5s e anche della Lega e Fdi, con i quali Si non vuole “mischiare i propri voti”. In più ci dovrebbero essere 3-4 voti dal gruppo Misto. La maggioranza assoluta di 316 voti verrebbe ampiamente superata anche in caso di fuoriuscita dell’ala legata a Di Battista. La Lega, se passasse la “linea Giorgetti” porterebbe in dote ulteriori 131 voti.

A Palazzo Madama per raggiungere la maggioranza occorrono almeno 161 sì (il plenum è costituito da 315 senatori eletti e 6 a vita), soglia ampiamente superata con l’appoggio di M5s. Ii sì infatti raggiungerebbero quota 231: 92 del Movimento, 35 di Pd, 18 di Iv, 52 di Fi, 10 Europeisti, 7 delle Autonomie, 17 su 22 del gruppo Misto (tra essi anche i senatori a vita Cattaneo, Segre e Monti, mentre non votano da tempo Rubbia, Piano e Napolitano).

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