L’intervista ad una Caregiver di Cerveteri
Chi assiste a tempo pieno un parente disabile non ha più diritto a un contributo economico. Sono nuovamente stati lasciati soli – di Giovanni Zucconi
Come dice una pubblicità, un disabile grave è, per una famiglia, un vero e proprio tsunami. Se non si vive quella situazione, difficilmente si può capire cosa significhi. Per i genitori, per i fratelli o sorelle, o per i figli che devono occuparsi di un disabile grave, non esiste più una vita propria. Tutta la loro giornata ruota intorno al proprio congiunto. Ogni azione o intenzione, anche minima, deve fare i conti con la presenza e le esigenze del loro caro disabile. Tutta la loro vita ne è condizionata, e si deve modellare ai ritmi e alle necessità di una persona che dipende completamente da loro in ogni azione quotidiana.
È una sorta di prigione senza l’ora d’aria. In cui i genitori, i fratelli o le sorelle, o i figli dei disabili gravi sono spesso completamente soli, e impossibilitati anche a cercare un lavoro.
Il mondo, la società civile, non è più quella di una volta. Non ci sono le famiglie numerose e unite che facevano rete e distribuivano in qualche modo il carico dell’assistenza. Il caregiver, si chiama così chi si prende cura di un congiunto disabile in ambito domestico, è oggi spesso solo. È solo, perché lo tsunami rompe e spazza via le famiglie. E spesso lascia solo la madre a seguire a tempo pieno il figlio disabile. Il caregiver è solo, perché non ci sono più 5 o 6 fratelli o sorelle, come una volta, ad aiutarti a seguire tuo padre o tua madre con l’Alzheimer,
A questi caregiver, lo Stato fino a oggi veniva incontro con una piccola pensione, e con dei piccoli aiuti che, anche se non cambiavano sostanzialmente la loro posizione e la loro vita, gli davano comunque un riconoscimento della loro condizione. Gli si riconosceva una condizione, ma anche una dignità. Gli si riconosceva un’esistenza e un ruolo. Questo perché quel piccolo contributo economico, e quelle facilitazioni, erano attribuite proprio a loro come caregiver, e non al proprio assistito.
Ma adesso è tutto è cambiato. È cambiata la normativa sui caregiver. E questo riconoscimento, questa dignità di caregiver, è stata eliminata dal legislatore. Non solo adesso i caregiver sono soli ad affrontare la malattia del proprio congiunto, ma non esistono nemmeno più di fronte allo Stato.
Per farci spiegare meglio quello che è successo, abbiamo accettato con piacere di parlare con Roberta Bodecchi. È la mamma di una figlia fragile, adulta, che vive a Cerveteri. E che ci ha contattato per chiederci se potesse parlare, in nome e in difesa di tutti i caregiver del nostro comprensorio, su questo tema.

Quella che segue è l’intervista che ci ha gentilmente concesso, e che noi pubblichiamo con spirito di sincera vicinanza.
Ci ha contattati dicendo che è cambiata la normativa italiana sui contributi ai caregiver. Immagino in peggio. Ci può raccontare intanto la vecchia legge?
“La normativa precedente prevedeva due possibilità di richiesta di finanziamento. Una di queste si chiamava “assegno di cura“. Questo contributo, che è rimasto sostanzialmente invariato, era destinato a fornire un supporto economico più consistente rispetto al “bonus caregiver”. L’assegno di cura era finalizzato all’assunzione, o al supporto nell’assunzione, di una persona che svolgesse il ruolo di badante o assistente per un congiunto con disabilità. Ad esempio, coloro che lavorano e non possono assistere direttamente un familiare disabile, potevano assumere una persona con regolare contratto di lavoro, e richiedere l’assegno di cura. Questo assegno doveva essere rendicontato, ovvero si doveva dimostrare come fossero stati spesi, per esempio, gli 800 euro ricevuti. La documentazione includeva naturalmente il contratto stipulato con il badante.
In alternativa, ma con un importo minore, esisteva il “bonus caregiver”. Come suggerisce il nome, questa misura mirava a riconoscere finalmente lo stato del caregiver, e il suo contributo nel prendersi cura di una persona che altrimenti sarebbe stata probabilmente ricoverata in un istituto. Lo Stato ha riconosciuto, con questo bonus, tra le altre cose, che mantenere una persona con disabilità a casa rappresenta un risparmio economico rispetto al ricovero in un istituto. Il caregiver riceveva un assegno trimestrale che poteva raggiungere fino a 700 euro al mese. Per un totale quindi di 2100 euro ogni tre mesi. Non era richiesta alcuna rendicontazione per questo bonus.”

Lo status di caregiver dava diritto solo a questa sorta di “pensione”?
“No, i caregiver riconosciuti dallo Stato, identificati tramite un tesserino specifico, potevano usufruire di diverse facilitazioni. Facilitazioni per sé stessi, non per il proprio congiunto in disabilità. Perché era riconosciuto il loro ruolo. Per esempio, potevano stipulare di assicurazioni sanitarie per sé stesso ad un prezzo calmierato. Oppure potevano saltare le liste di attesa per le loro visite mediche. Questo perché lo Stato riconosceva finalmente che il ruolo del caregiver comporta una serie di costrizioni che rendono difficile la socializzazione, o addirittura una vita normale. Lo Stato riconosceva che, per il caregiver, è necessario dedicare tutto il proprio tempo al congiunto assistito.”
Immagino anche a scapito della cura di sé stessi
“Certamente. Spesso, i caregiver rinunciano alle proprie cure sanitarie. Ad esempio, in caso di infortunio, come una distorsione alla caviglia, possono continuare a camminare sulla caviglia slogata per continuare a soddisfare le esigenze, più grandi, del loro familiare, e per non fargli mancare nulla. Questo problema non riguarda solo i genitori, in particolare le madri come si tende a pensare. Ma anche i fratelli, sorelle o figli di persone, per esempio, affette da Alzheimer o demenza senile, che preferiscono tenerle in casa. Lo Stato, in pratica, riconosceva una sorta di pensione minima per questi caregiver. Naturalmente variabile in base al proprio ISEE.”
Adesso cosa è cambiato?
“È cambiato tutto. È cambiato il fatto che il caregiver non esiste più. Quello che prima si chiamava “bonus caregiver”, adesso si chiama “contributo di cura”. Questo è sostanzialmente simile al vecchio “assegno di cura”. Mentre il precedente assegno di cura è rimasto lo stesso. Ovvero serve ad assumere personale qualificato che ti sostituisce nella cura del tuo congiunto.”
Come lo sto capendo, mi sembra comunque una cosa buona
“No, non lo è. Noi caregiver ci sentiamo veramente privati della nostra dignità e dei nostri diritti. Chi svolge il ruolo di caregiver, come me, non può avere un altro lavoro. Per esempio, quando ero in cassa integrazione, ho provato a fare una prova come commessa in un centro commerciale. Ma dopo aver verificato che in quel lavoro avrei guadagnato circa 1000-1200 euro, mi sono chiesta: per quanto tempo ogni giorno avrei dovuto lavorare? Quanto tempo sarei dovuta stare lontana da casa? In mia assenza, chi avrebbe assistito mia figlia? Quanto mi sarebbe costata un’assistenza per tutto il giorno? A me non sarebbe bastato il mio stipendio per pagare qualcuno che stava a casa con mia figlia. E quindi comunque, volente o nolente, ho detto che non lo posso fare. E sono rimasta a casa con mia figlia.”
Provo a vedere se ho capito bene. Il problema più grande che ha introdotto la nuova normativa sui caregiver è che non viene più riconosciuto il vostro ruolo sociale. E che quella sorta di “pensione” a voi dedicata non è più prevista. Vi hanno di nuovo lasciati soli?
“Ci hanno di nuovo lasciati soli. Ci hanno tolto la dignità. Il bonus caregiver ha subito delle modifiche ed è ora è chiamato: “Contributo di cura al caregiver”. La cosa importante è che questo contributo non è più destinato direttamente al caregiver, ma all’assistito del caregiver. Non è più riconosciuto il nostro ruolo. È riconosciuta solo la persona con disabilità che noi assistiamo. Spero che comprenda che non è una differenza da poco. I caregiver è come se non esistessero più. Continueranno ad affrontare, da soli, le stesse difficoltà nel gestire la propria vita e i propri spazi. Senza poter usufruire di momenti di sollievo, o prendere una boccata d’aria.”
Non vi hanno ancora comunicato le nuove regole o procedure?
“Attualmente, le persone che noi assistiamo sono in attesa di essere convocate per un PAI (Piano di Assistenza Individualizzato), che sarà gestito da medici che, comprensibilmente, non li conoscono. Non li possono conoscere. Sappiamo che c’è un’enorme lista d’attesa. Quindi non è nemmeno chiaro quando inizieranno a convocare i nostri assistiti. Sappiamo solo che le decisioni in merito al contributo saranno prese dai medici sulla base delle loro valutazioni soggettive, anche se ascolteranno anche i familiari.”

Quindi ancora non sapete quali spese saranno coperte, né come rendicontarle
“L’aspetto della rendicontazione è quello meno chiaro. Prima, come abbiamo detto, il bonus caregiver era una specie di pensione. Non bisognava rendicontare nulla. Adesso cosa succederà? Se, per esempio, riceverò 600 euro mensili, dovrò giustificare tutte le spese con degli scontrini? Cosa succede se utilizzo quel denaro per mandare mia figlia in piscina? Alcuni esempi che ho letto parlano di spese per le vacanze. Ma se porto mia figlia a casa mia per una vacanza, posso rendicontare dei costi? Sembrerebbe di no. Il rimborso copre le spese per gli spostamenti in treno. Ma se uso della mia auto personale per accompagnarla, posso considerare i costi di carburante? Ci sono delle limitazioni pazzesche, almeno così parrebbe, perché ancora è tutto un pastrocchio.”
Voi caregiver di Cerveteri siete stati convocati in Comune. Non vi hanno chiarito i dubbi che mi sta manifestando?
“C’è ancora molta confusione sull’applicazione pratica di queste regole. Anche l’Amministrazione comunale di Cerveteri sembra avere difficoltà a comprenderle pienamente. Come è chiaramente emerso dalla riunione di giovedì scorso. Non è ancora chiaro se i caregiver devono diventare dei commercialisti dei propri congiunti, perché dovranno portare un rendiconto ogni mese al Comune. Altra cosa ancora non chiara: supponiamo che il contributo è di 600 euro, ma io un mese ho scontrini solo per 400 euro. Me ne dai soli 400 euro? E se il mese successivo ho scontrini per 700 euro, me li dai tutti?”
Non vorrei buttare benzina sul fuoco. Ma vorrei ricordarle che, se lei ha anche un amministratore di sostegno per sua figlia, dovrà portare lo stesso rendiconto anche al giudice tutelare. Con la complicazione che, in determinati casi, prima di spendere dei soldi del “Contributo di cura al caregiver”, potrebbe dover chiedere prima una sua autorizzazione. Come mi diceva, questa non è una “pensione” del caregiver. Non sono soldi suoi. Sono soldi di sua figlia
“Ne sono perfettamente consapevole. Si chiama “Contributo di cura al caregiver”, ma è destinato a mia figlia, e non a me. Sono soldi suoi. Capisce come tutto si è complicato? E, soprattutto, c’è ancora tanta confusione. C’è chi dice una cosa, e subito dopo trovi chi dice l’opposto. Ho chiesto all’amministratrice di sostegno, che è un avvocato, di cercare di capire cosa realmente io debba fare. E speriamo poi che ci siano fondi regionali per tutti i caregiver.”
Cosa farete adesso? Vi state organizzando tra voi caregiver?
“Abbiamo creato una chat riservata ai caregiver di Ladispoli e Cerveteri. Dove ci confrontiamo e ci diamo supporto reciproco in caso di difficoltà. In questa chat è emersa la proposta di fare ricorso al TAR, affidandoci a un avvocato. Inoltre, qualcuno ha suggerito di coinvolgere giornalisti e televisioni. Personalmente, ho già contattato diversi media via email. Non solo voi di BaraondaNews. Anche se non sono sicura che riceverò una risposta. Tuttavia, ho voluto dare il mio contributo. Al momento, siamo un buon numero di persone impegnate in questa causa. Ci hanno tolto la dignità. Ma io, la mia dignità devo trovare il modo di riprendermela.”
Quanti siete voi caregiver nel nostro comprensorio? Vi siete contati?
“Non è facile contare quanti sono i disabili nel nostro territorio. Molti sono quasi invisibili. E quindi non è facile contare quanti sono i caregiver. Io sono in contatto con più di cento persone.”
