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Cronaca

Cerveteri, in ricordo della maestra Pierina



Cerveteri, in ricordo della maestra Pierina –

di Angelo Alfani

Pierina la maestra ci ha lasciato.

Stavolta per sempre. Non è partita per la solita gitarella o per due settimane a “rifare il tagliando” a Chianciano: con un “addio” o un “ce se vede dopo!” per chi crede nell’aldilà. Se ne è andata, e basta.. L’abbiamo perduta.

Cerveteri ricordo maestra Pierina

Da quanto mi è dato sapere, lei una lottatrice irrefrenabile, una forza della natura si era” stufata.

Nonostante la “stanchezza “ anche negli ultimi giorni non aveva perso il contatto con quanto per decenni l’aveva circondata: affetti, ricordi, certezze e dubbi.

Sono rari gli insegnanti che hanno lasciato un ricordo condiviso : la maestra Borghi, il maestro Copponi..lei era tra questi.

Pierina era la “maestra Pierina” :provo a rammentare di averla sentita chiamare la maestra Marini:inutilmente.

E questo modo confidenziale di nominarla rende al meglio il suo modo di rapportarsi con la comunità cervetrana.

Attenta agli accadimenti grandi e piccoli, sociali e personali, curiosa delle cose del mondo, sempre interrogante, come non smettesse mai di fare lezione in classe, costringendo i suoi scolari alla lavagna col gessetto in mano a cantilenare le tabelline ad libitum.

Aveva un sincero affetto per chi mette giù queste righe : chiedeva affacciata al balcone se mi ero visto o stavo ancora fori, dalle fruttarole faceva altrettanto.

Leggeva con assiduità quanto scrivo per pochi uomini e per pochi anni:sono certo che lo apprezzasse e ci si facesse due risate.

C’era quel quid in più che da cui scaturiva simpatia l’uno verso l’altra : il comune e profondo amore per Cerveteri, il rispetto per sua eccellenza Cardinal Tisserant, il suo unico ed amato fratello Don Santino, prematuramente morto.

Eri il suo chirichetto preferito”,mi ripeteva spesso.Gli ricordavo allora di averlo accompagnato parecchie volte a dir messa nelle campagne: cappellette ricavate accanto ad aule scolastiche.

Accadeva il più delle volte che era presente la sola perpetua, ma questo non faceva venire meno la  sacralità dell’atto.Si toglieva gli occhiali e stringendo il lembo della tonaca tra le dita, iniziava a pulirli , lentamente. I suoi occhi ,li ricordo cerulei, apparivano allora smarriti, come quelli di tutti i miopi. Poi un sorriso pieno ridava dolcezza e sicurezza. Allora Angiolè che volemo fa, la diciamo stà messa?A Pierina luccicavano gli occhi.

Nel ricordarla ho la convinzione che abbia voluto vivere appieno il dono dell’esistenza.

Nel suo passaggio sulla terra d’Etruria, ha combattuto come Giacobbe con l’Angelo un’intera notte: finché,come è scritto nel passo della Genesi:“allo spuntar dell’Aurora” prevalse un grande senso di pace.

Delle molte cose che ho scritto vorrei estrapolarne una che aveva apprezzato molto, perché gli ricordava la sua giovinezza a Cerenova.

Cerveteri ricordo maestra Pierina
Cerveteri, in ricordo della maestra Pierina

Primi giorni dagosto, tutta lestate risplendeva ancora:la luce era luce dellestate.

I cervetrani alla passione per il bagno al fosso, cominciavano ,loro gente dell’interno, a provare il prurito dal desiderio di andarsene al mare.

In tutti i modi, con tutti i mezzi disponibili.

I giovanotti in bicicletta ed in corriera si smucchiavano negli stabilimenti di Ladispoli in cui la probabilità d’acchiappo era facile e prive di conseguenze stava nellordine delle cose.

La maggioranza, famiglie allargate, su carretti e barrozze, camioncini che stavano in piedi per miracolo, du ore ad annà e due a tornà, raggiungevano il cancello della tenuta di Cerenova dove, l’addetto agli ingressi Ettore Bugli, chiudeva tutti e due locchi, eccezion fatta quando il capanno a mare era occupato da sua Eccellenza.

Il Centro delle bonifiche Giovanni Ruspoli era rimasto un tipico villaggio agricolo autosufficiente: il negozio di alimentari istituito nel 1942, pochi ambulanti di frutta e verdura, stalle moderne, poco altro. Don Giovanni veniva spesso in visita. Percorreva i viali dai cupi cipressi che portavano ai rari casali annunciati da ombrelli di pino svettanti, color rosso pompeiano, con occhi che si riempivano del verde intenso del carciofo Castellammare, che sostituì il tardivo ma eccellente Campagnano, dei fagioli cannellini, dei campi in cui scoppiavano al sole enormi cocomeri razza Bagnacavallo.

Da li una strada bianca affiancata da olmi e canalizzazioni raggiungeva il passaggio a livello N° 54. Il sobbalzare sui binari mostrava a perdita docchio lazzurro brillante del mare che, si raggiungeva attraversando dune dai bianchi gigli di . Accanto a piccole strutture mezze abbandonate, ponticelli in legno che attraversavano la calda insenatura dello Zambra, facendosi largo tra il fittume di canne di palude ,accumuli ferrosi, binari sospesi, carrelli rovesciati ed arrugginiti, segni ancora evidenti della autarchica raccolta del ferro” dalle spiagge nere, si trovava un grande capanno, sospeso sopra palizzate infilate nellarenile. Un scala in legno portava al piano, coperto da incannucciata, un bidone, impiccato in alto ad un palo più sostenuto, da cui sospendeva un tubo nero per la doccia.

Tra le verosimili storie tramandatesi quella sulla scimmia che si lanciava da un ramo allaltro degli alberi che costeggiavano la strada bianca che portava da Cerinova al casello ferroviario, merita di essere raccontata.

I pochi testimoni concordano nel sostenere che lanimale giunse in bassa Maremma portato dai reduci della guerra dAfrica che, dopo una barcata danni di guerra e prigionia, erano tornati al Campo militare di Cerveteri. Non potendola tenere in caserma la mollarono sugli ombrosi olmi.

Di certo era una femmina, di certo era dispettosissima e accettava da mangiare solamente da alcuni militari ai quali lei si avvicinava durante il loro pranzo e da Nino il gestore dellalimentari- trattoria di Cerinova.

Tra ricordi diversi molto narrato è quello dellavventura di Cittina, così si chiamava la scimmia, ed un cane pecoraro.

Mentre era intenta a sbobbarsi da un pentolone di rame, un arruffato cane pecoraro ebbe lardire di andargli ad annusare il deretano. Lo avesse mai fatto. Liraconda scimmia divenne una furia.

Zompò in groppa al cane e, tenendosi stretta con le zampe al pelame lanuginoso, riempì di schiaffi il misero maremmano. Per alcune centinaia di metri i raccoglitori di cocomeri assistettero alla scena finché lanciando urla e sassate riuscirono a convincere Cittina a sbalzare a terra ed a ritornarsene tra gli alberi, dove convisse per alcuni anni con altri animali, contadini e varia umanità, sempre e comunque a debita distanza.

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