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La “vera” storia della Palude di Torre Flavia raccontata da Corrado Battisti

Lezione tenuta a Ladispoli durante la manifestazione “Coltiviamo la pace”

La “vera” storia della Palude di Torre Flavia raccontata da Corrado Battisti – di Giovanni Zucconi

Durante la manifestazione “Coltiviamo la pace”, Corrado Battisti, il naturalista referente della Palude di Torre Flavia, ha tenuto una vera e propria “lezione pubblica” sull’area protetta. Una lezione che ha intrecciato, in modo assolutamente suggestivo ed emozionante, memoria popolare, fatica, bonifiche, pesca di palude, abusivismi, scelte difficili e, infine, un presente fatto di dialogo e volontariato.

La “vera” storia della Palude di Torre Flavia raccontata da Corrado Battisti
La “vera” storia della Palude di Torre Flavia raccontata da Corrado Battisti

Anche se è oggettivamente complicato trascrivere in poche pagine tutte le notizie e gli aneddoti che Corrado Battisti ha trasmesso ai presenti, ci proviamo. Di seguito il riassunto della sua lezione. Che riprende anche i passaggi più colloquiali e “ruvidi”.

“A mano con la vanga”: paludi, malaria, fatica

Palude di Torre Flavia, dopo i lavori di manutenzione gli stagni si sono di nuovo riempiti d’acqua

Battisti inizia il racconto rivolgendosi a chi ha una certa età. E ai loro padri che vivevano qui e che hanno conosciuto le paludi. Hanno conosciuto le bonifiche. La palude di Torre Flavia era allora molto ampia. Si chiamava Palude di Campo di Mare, e arrivava oltre l’Aurelia. Ladispoli già c’era, ma era appena un nucleo.

In quell’assetto, il litorale alternava grandi zone umide (Maccarese, Palidoro, Torre in Pietra, Fiumicino) a macchia mediterranea (Castelporziano). Poi di nuovo paludi fino ad Anzio.

Battisti si rivolge ai presenti e smonta l’aspettativa della “lezione naturalistica”. “Io lavoro in un parco… vi aspettereste che vi dicessi ‘le paludi sono importanti per gli uccelli migratori’… ma vi dico che le paludi erano terre dove la gente moriva: moriva di malaria, moriva di fatica.” La “fatica” è quella della bonifica “a mano con la vanga”. Lo ripete più volte: uomini a scavare, donne a portare via il fango. Donne che venivano chiamate con appellativi anche brutti.

Ma l’aspetto che dominava su tutto era la fatica. Una fatica così dura da diventare “un mantra” nella memoria di chi l’ha vissuta.

1938: arrivano i Mantovani dal Delta del Po

La “vera” storia della Palude di Torre Flavia raccontata da Corrado Battisti
Sandro Mantovani

Arriviamo al 1938. Quando la famiglia Mantovani con altri nuclei arrivati durante le bonifiche, romagnoli, emiliani, cominciarono a bonificare la palude. Ma non la bonificarono del tutto. Non solo hanno lasciato dei pezzettini di palude, ma l’hanno approfondita. Scavarono canali più profondi negli acquitrini (“scagnetti”), perché gli interessava importare le attività di allevamento dei pesci dal Delta del Po. Loro allevavano soprattutto Cefali. E questo allevamento fu impiantato nella Palude di Torre Flavia.

La tecnica della pescicoltura di palude

Negli anni ’40, per allevare i pesci, si andava alle foci dei fossi e si aspettava che i cefali dal mare iniziassero a risalire i fossi. In autunno prendevano i pesci con le reti e li mettevano in palude, dove non venivano più predati dai pesci di mare. Ricordando che il ‘99% dei pesci nati in mare muore predato. Così, per tanti anni hanno praticato questa attività di pescicoltura. Che richiedeva però una condizione imprescindibile: bisognava che ci fosse acqua a sufficienza.

Anni ’60–’70: si costruisce, si chiudono i fossi, “si rubava l’acqua”

La “vera” storia della Palude di Torre Flavia raccontata da Corrado Battisti

Con l’espansione edilizia di Ladispoli, Marina di Cerveteri e Campo di Mare, i costruttori chiusero i fossi che portavano acqua alla palude. Nel 1973 è nato Campo di Mare. Per non far morire la pescicoltura (e la palude), la famiglia Mantovani, la famiglia di pescatori, rubava l’acqua. Per esempio, facevano delle forature, scavavano pozzi abusivi. Battisti, nel raccontare questo periodo, è consapevole di esporre una contraddizione: “Quello dei Mantovani era un abuso, era un danno… ma adesso deve essere letto come qualcosa che ha consentito di mandare acqua nella palude. Altrimenti la palude sarebbe morta negli anni ’70 per siccità. Sarebbe stato un vero e proprio crack.

Sandro Mantovani “col fucile”: un “ambientalismo anomalo”

Battisti cita il pescatore Sandro Mantovani per nome e cognome: “sparava”. Non giustifica il gesto, ma invita a “guardare bene dietro”. Battisti racconta che, quando hanno costruito Campo di Mare, le ditte avevano tonnellate di terra da riporto. Centinaia, migliaia di tonnellate di terra da riporto, che non potevano scaricare sui campi di carciofi limitrofi. Gli anni ’70 erano anni dove tutto andava di corsa, c’era abusivismo.

 Mantovani si oppose. Anche usando il fucile lui impediva che camion pieni di terra da riporto scaricassero in palude. Che era l’unica zona che “era niente”. Ma era dove loro allevavano pesci. Lo possiamo definire un “ambientalismo anomalo”. Che andava avanti col fucile e con la rapina dell’acqua. Ma che negli anni ’70–’80 ha avuto il merito storico di preservare la Palude di Torre Flavia. Battisti ha detto, riferendosi alla definizione di “ambientalismo anomalo”, che sono parole “difficili da dire”. Ma sono da affidare al pensiero critico di ciascuno. “Noi raccontiamo i fatti. Poi questi vanno giudicati giudicata. Ma è importante raccontare la storia per come è stata.”

“Non solo scienze: storia e geografia”. Il cambio di passo del Parco

Corrado Battisti

Molti vengono in palude e dicono: adesso ci fa la lezione di scienze… sì, anche. Ma pure di storia e di geografia. Dobbiamo raccontare che, con l’arrivo dell’Ente Parco, la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di parlare con chi sta sul territorio. Abbiamo parlato con gli agricoltori, gli allevatori di cavalli (noi abbiamo i cavalli dentro, mezzi liberi, in palude) e con gli pescicoltori. Un parco non va avanti se chi lo gestisce se ne sta chiuso in ufficio con la sua teoria ambientalista vista in TV. Un parco va avanti dialogando. Alla famiglia Mantovani è stato riconosciuto un ‘merito storico’. Ma abbiamo fissato loro anche dei limiti: ‘il pesce lo puoi allevare, però non possiamo seccare la palude troppo di corsa, né possiamo dare fuoco al canneto’.”

L’acqua come infrastruttura: accordo col Consorzio, pompe, numeri

Palude di Torre Flavia, dopo i lavori di manutenzione gli stagni si sono di nuovo riempiti d’acqua
Palude di Torre Flavia, dopo i lavori di manutenzione gli stagni si sono di nuovo riempiti d’acqua

Dal 2000 si ha una grande svolta: ci si accorda con il Consorzio di Bonifica. “Nei giorni scorsi abbiamo aperto enormi pompe… dieci litri al secondo d’acqua per riempire i canali della palude rimasti a secco.” Rimasti a secco anche per favorire gli sfalci e le pulizie che regolarmente bisogna fare nel Parco.

Ma soprattutto l’accordo con il Consorzio di Bonifica ci garantisce una dote annua: “Siamo arrivati a immettere 100.000 metri cubi d’acqua ogni anno… il Consorzio ci ha detto: ‘avete tutti gli anni 100.000 metri cubi’. L’inverno 2001 è ricordato come anno senza nemmeno una goccia d’acqua. La palude rimase secca. Se non ci fossimo stati noi, il pescatore si sarebbe messo a rubare l’acqua. Ma dal 2001 ci siamo imposti che l’acqua dovesse arrivare in qualche modo in questa palude storica. E abbiamo fatto in modo di farla arrivare”.

Quando scompare la pesca di palude, si spezza la catena

Chi fa più il pescatore di palude?” chiede Battisti. “Nessuno fa più pesca di palude. E se non ci sono più pescatori che immettono i giovani cefali in palude, non ci saranno più pesci. E se non ci stanno più cefali, non ci stanno più uccelli in palude che pescano i pesci.” Questo, speiga Battisti, è un paradosso rivelatore: grazie a un’attività dell’uomo, la pesca di palude, si è mantenuta un’alta biodiversità.

Dall’“abitante uno” alla proposta di “Riserva sociale”

Battisti conclude con un’immagine forte: “Lo sapete quanti abitanti ha la palude? Uno: Ada. Una signora anziana, formidabile, più di 80 anni, vive da sola in una casettina dentro la palude. È l’unico abitante. Ma prima c’erano Ada e la famiglia Mantovani e basta. Oggi in palude c’è un’intera comunità.” Da qui la proposta di Battisti: cambiare il nome in “Riserva sociale”. “Perché adesso c’è una grandissima comunità”. Battisti cita, facendo degli esempi, “Buon Ambiente”, “Marevivo”, “Custodi della Salute”. E parla di “30 associazioni che si sono presi a cuore l’area protetta”. Conclude la lezione pubblica con “Un plauso ai volontari che si prendono cura della palude.”