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Cultura

Quando i soldati antico romani scrivevano lettere su delle cortecce d’albero



Rinvenuti circa 700 manufatti, gli oggetti in questione sono sottili tavolette di legno su cui furono vergati ad inchiostro dei documenti ufficiali e privati durante il I° ed il II° secolo p.C.n.

C’è una località che si chiama Vindolanda, un nome che alla maggior parte delle persone non dice assolutamente nulla, la quale però ci narra di cose risalenti a ben 2.000 anni fa. Trattandosi di una realtà la quale, per i motivi che andrò ad esporre, potrebbe invece suscitare un certo qual indubbio interesse storico – sociale è il caso di andare per ordine dicendo in primis dove si trova questo luogo e che funzione svolgeva per poi entrare in un particolare dettaglio che riguardava gli
antico romani che ivi, necessariamente, vi soggiornavano. Vindolanda è un sito archeologico (contenente i resti di un antico insediamento romano esattamente una fortezza o, ancor meglio, usando un termine latino – tanto per rimanere in tema- un oppidum) posto a ridosso del Vallo di Adriano nell’Inghilterra settentrionale esattamente nei pressi dell’attuale paese di Bardon Mill nel Northumberland che, anche oggi, è terra di confine fra l’ Inghilterra e la Scozia. Vediamo, peculiarmente, di cosa si tratta: Ad iniziare dal marzo del 1973, per circa venti anni, a Vindolanda, furono rinvenuti circa 700 manufatti di cui almeno 500 sono state scavati negli anni ’70 e ’80 del XX secolo.

Di cosa si tratta è presto detto, gli oggetti in questione sono sottili tavolette di legno su cui furono vergati ad inchiostro dei documenti ufficiali e privati durante il I° ed il II° secolo p.C.n. Delle vere e proprie lettere scritte vuoi dai militari, di vario ordine e grado (un qualcosa, in parte assimilabile per alcune analogie, a quanto fatto, sempre tanti secoli fa, da dei soldati cinesi) ivi stanziati a protezione del Vallo che, anche, da alcuni loro famigliari al seguito. Ma ci sono alcune cose che rendono le tavolette di Vindolanda particolarmente interessanti ad iniziare dai primi loro rinvenimenti che furono inizialmente interpretati come scarti di lavorazione del legno e le vicissitudini che ebbero nella loro reale identificazione fino a che uno degli archeologi ivi impegnati ne trovò due incollate tra loro, le scollò e scoprì un testo scritto all’interno, il che rappresentò l’inizio di una svolta identificativa, ma solo l’ “inizio” in quanto, recate agli epigrafisti, un rapido ineluttabile processo di ossidazione del legno le rese nere ed illeggibili addirittura prima che potessero vederle. Ma chiaramente con l’ “ostinazione” che, da sempre, contraddistingue gli archeologi soprattutto quando “fiutano” determinate “prede”, le “tavolette” furono inviate a alla Scuola di Medicina dell’ Università di Newcastle  per un’analisi fotografica multi spettrale; in questo caso finalmente le foto all’infrarosso rivelarono, per la prima volta, che si trattava di una scrittura.


Ma anche questa ricerca “ostinata”, che sembrava dare i primi frutti, inizialmente non fu incoraggiante in quanto la grafia risultò illeggibile. Fu solo grazie a due ottimi studiosi, Alan Bowman dell’ Università di Manchester  e David Thomas dell’ Università di Durham , i quali studiando e ristudiando nei minimi dettagli quella grafia corsiva precedentemente sconosciuta riuscirono infine a produrre delle trascrizioni. Mancando, ovviamente a quelle latitudini, il papiro si può iniziare a comprendere perché i vindolandesi scrivessero su cortecce di legno di  betulle , ontani  e  querce  di provenienza locale andando a decurticare, per questo pronto uso, una tipologia di alberi che sicuramente non mancavano e non mancano in loco a tutt’oggi, a differenza delle  tavole cerate rappresentanti un altro tipo di tavolette da scrittura usate nella  Britannia romana , le quali erano importate e prodotte in legno non nativo e che comunque, per questi motivi, avevano un loro specifico costo. Vediamo come erano esattamente queste lettere ( che in soli quattro giorni potevano raggiungere qualsiasi angolo dell’impero una tempistica superata, molti secoli dopo, solo con dall’avvento della ferrovia): Le tavolette hanno uno spessore di 0,25-3 mm con una dimensione tipica di 20 × 8 cm. ed erano incise al centro e piegate a formare dittici con scritte a inchiostro sulle facce interne, con l’inchiostro usato che era composto da carbone, gomma arabica e acqua. La parziale decrittazione finora effettuata delle lettere lignee di Vindolanda hanno già portato un importante contributo alla lettura di quello “spaccato” di vita che si svolgeva ai confini nord dell’impero romano infatti su di esse si leggono sia di varie esigenze personali specifiche ivi comprese le proprie affettività famigliari, che di altre richieste fatte ai superiori organismi militari, che addirittura di lettere (anche all’epoca) di raccomandazione come, ad esempio, quando un certo Karus il quale così scrive al prefetto Cerialis: “Brigionus mi ha chiesto, mio signore, di consigliarlo a te. Ti chiedo di ritenere opportuno lodarlo ad Annius
Equester,centurione responsabile della regione a Luguvalium, sarò in debito con te”.

E poi l’emersione dalle “nebbie” della storia di quei luoghi (sicuramente già molto nebbiosi di per se) di vari nominativi di soldati ed ufficiali ma anche di alcune donne ed ecco apparire i Clodius, i Diligens, i Corinthus insieme alle Sulpicia alle Lepidina ed altre donne ancora, sia romane che “romanizzate” in loco. Ma i ritrovamenti delle tavolette non sono terminati, infatti nel giugno scorso in una trincea del livello più profondo del complesso, costruito più volte con erba, legno e
infine pietra, ne sono stati effettuati degli altri: Si tratta di 25 tavolette che risalgono al I° secolo d.C., scritte su pezzi di betulla e quercia, conservate in buono stato, grazie al particolare clima della zona. Certo ci vorranno mesi prima che anch’esse siano decifrate, ma già le prime analisi hanno identificato uno degli autori nel soldato Masclus che scrive ai suoi superiori indicando alcune necessità spicciole ( ma piuttosto importanti trattandosi di alcool per le milizie) di rifornimento del forte: “I miei soldati non hanno più birra, si prega di inviarne ancora”.

Anche questa lettera andrà ad aggiungersi alle altre che sono conservate al  British Museum di Londra di quella Londinium, anche lei, guarda caso, fondata dagli antichi romani. Ciò detto il richiamo alle zone militari succitate ed il forte impegno antico romano a presidio del Vallo ci porta direttamente al mistero della “scomparsa” della famosa ed intrepida Legio IX Hispana assalita (ed annientata completamente fino all’ultimo uomo?) dai Picti e dai Caledoni proprio in Scozia in prossimità del Vallo, un argomento, molto divisivo, sul quale gli storici e gli archeologici si sono divisi e si dividono ancora con varie (non molte in verità) teorie. Una delle più gloriose Legioni romane in assoluto della quale, improvvisamente, si sono perse le tracce dopo una sanguinosissima battaglia pugnata selvaggiamente (come era loro solito costume) dai locali contro ciò che rappresentava militarmente, in loco, l’impero romano. Un fatto storico sul quale mi piacerebbe tornare prossimamente e sul quale si è impegnata anche la cinematografia, in epoca non lontana, con due film in proposito, quasi contemporanei, Centurion (2010) e The Eagle (2011), pellicole che, ovviamente, non chiariscono affatto come e perché, questa famosa eroica legione (dalla misteriosa insegna; un toro come le altre od invece un’aquila?) affidata (forse) a  Gneo Osidio Geta composta da 5.000 uomini fra fanti e cavalieri, scomparve improvvisamente dai radar della storia.

Arnaldo Gioacchini

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