“I veri condannati siamo noi: io, mio marito e Marco che non c’è più” – di Giovanni Zucconi
Ci sono interviste in cui senti maggiormente il dovere di fare le domande più giuste e opportune. Per raccontare le cose senza violare nessuna sensibilità o memoria. È successo anche a me, nell’intervista che ci ha gentilmente e pazientemente concesso Marina Conte, la mamma di Marco Vannini. “Pazientemente” perché, potete immaginarlo, in questi giorni ha concesso decine di interviste. Tutti le maggiori testate, anche quelle a carattere nazionale, hanno voluto chiederle cosa pensasse del beneficio che era stato concesso a Martina Ciontoli, l’ex fidanzata di suo figlio. Morto anche a causa del suo cinico atteggiamento che ha contribuito a fare ritardare quegli aiuti che sicuramente avrebbero salvato Marco.
Abbiamo provato anche noi a chiedere a Marina Conte una sua opinione sul provvedimento che ha concesso a Martina Ciontoli un permesso di lavoro esterno per buona condotta. Ricordiamo che, ogni giorno lavorativo, può uscire dal carcere e recarsi al lavoro nel bar interno alla Scuola Superiore per l’Educazione Penale “Piersanti Mattarella”.
Con questa intervista non volevamo ripercorrere tutta la vicenda. Ma abbiamo provato a capire meglio il ruolo di Martina in questa storia, e quello che la madre di Marco pensa di lei. Anche se è emerso che ai genitori di Marco poco importa quello che sta succedendo e che succederà. Perché alla fine quello che conta è quello che è successo dieci anni fa nella villetta dei Ciontoli. E che, come ha detto più volte Marina Conte, “I veri condannati siamo noi: io, mio marito e Marco che non c’è più”.
Cominciamo con una domanda forse banale, ma necessaria: Come avete reagito alla notizia che Martina Ciontoli ha ottenuto un permesso di lavoro per buona condotta?
“Noi ce l’aspettavamo. Sapevamo che sarebbe successo. La legge italiana lo prevede, ed è giusto applicarla se Martina è diventata una detenuta così modello. È una cosa che gli avvocati ci avevano detto che sarebbe successa.”
Mi perdoni, ma ho l’impressione che la sua sia una risposta politicamente corretta. Ma che nel suo cuore i sentimenti siano altri. Per ottenere questo tipo di benefici, il detenuto deve almeno manifestare un pentimento per quello che ha fatto. Lei crede che Martina si sia veramente pentita?
“Infatti, nelle mie dichiarazioni di questi giorni ho detto che, se è vero che lei abbia ritrovato una coscienza, forse adesso dirà anche la verità. Spero che finalmente dica la verità. Non dico a noi, ma almeno a chi di dovere.”
Noi tutti, testimoni esterni del processo, abbiamo sempre considerato al limite dell’incredibile la ricostruzione fatta dalla famiglia Ciontoli
“Credo che, se si è veramente pentita di quello che è successo, lei la verità la conosce, e la potrebbe raccontare. Martina sa cosa è successo quella sera. Ma quello che ha dichiarato in tribunale non corrisponde alla realtà. È palese. Durante le intercettazioni, lei ha detto a Viola e Federico di aver visto il padre puntare la pistola e sentito Marco dire: “Non si scherza così con la sua pistola“. Invece, in tribunale ha affermato che quanto detto durante le intercettazioni le era stato raccontato dal padre, e che lei le aveva creduto. Antonio Ciontoli le aveva detto che era stato a un colpo d’aria. C’è poi un’altra versione. Quando Martina è arrivata al punto di primo intervento, a me e a Valerio ci disse che, mentre il padre puliva la pistola, era partito un colpo che aveva ferito Marco. L’aveva definito un incidente. Ci sono troppe versioni discordanti tra loro. L’unica vera sembrerebbe essere quella delle intercettazioni, che lei però poi ha smentito.”
Quindi lei spera che adesso Martina Ciontoli, dopo questo provvedimento, possa finalmente raccontare la verità su quanto è veramente successo quella sera a Marco?
“Io me lo auguro per lei che si sia pentita davvero. Perché un pentimento passa sempre attraverso la verità. Nel momento in cui ti rendi conto di quello che è successo realmente, e racconti la verità, a quel punto ti puoi pentire. Questo secondo me. Comunque guardi, le parlo dal più profondo del mio cuore, per noi era fondamentale dare giustizia a Marco, e ci siamo riusciti. Poi il resto è legge. La legge fa il suo corso con benefici e pene. Ma questa non è una cosa che posso cambiare. Se Martina ha ricevuto benefici, mi auguro che chi ha deciso fosse consapevole di chi sia davvero Martina. Sia certo che Martina si sia veramente pentita. Personalmente, quello che fa Martina ora non mi interessa molto. Sapevo che sarebbe uscita dal carcere e che avrebbe potuto rifarsi una vita, mentre Marco non può più farlo perché è morto. Ed è stato ucciso per mano loro. Ricordiamoci che, se Marco fosse stato salvato tempestivamente, sarebbe ancora vivo. Loro alla fine usciranno dal carcere. I veri condannati siamo noi: io, mio marito e Marco che non c’è più. Per noi era importante che ci fosse un riconoscimento per quello che avevano fatto a Marco, e l’abbiamo ottenuto. Abbiamo ottenuto giustizia. Se ora Martina si integra, è un suo diritto. Se dice la verità e pulisce la coscienza, tanto meglio. Ma non cambia nulla per noi. Io, mio marito e mio figlio non abbiamo sconti di pena.”
Lei pensa che anche gli altri componenti della famiglia potranno godere in futuro degli stessi benefici di cui sta godendo Martina?
“Sapevo che una volta entrati in carcere, avrebbero avuto 45 giorni di sconto pena all’anno e, se si comportano bene, potrebbero uscire presto. Le leggi aiutano i giovani a integrarsi e riabilitarsi. Io lo sapevo. Quindi sono convinta che il fratello uscirà presto, la madre poco dopo e il padre tra qualche anno, a metà pena. Io credo addirittura che potrebbero andare agli arresti domiciliari. Questo è ciò che prevede la legge, e non posso cambiarla. Ma ribadisco il concetto che non sono importanti gli anni che si fanno in galera. È importante il riconoscimento che c’è stato di quello che hanno fatto, e la loro condanna. Chi ha ucciso deve essere condannato. Ed è quello che volevamo. Adesso mi domandano: “E se Martina dice la verità?”. Anche se dicesse la verità, e si liberasse la coscienza, a me non cambierebbe niente. Perché, come le dicevo prima, i veri condannati siamo io, mio marito e Marco. Che non c’è più. Che non può più fare progetti perché è morto. Morto perché quattro persone l’hanno lasciato morire senza aiutarlo. Questo è il concetto fondamentale.”
In tutti questi anni, ha mai avuto un contatto con Martina? Ha mai cercato di parlare con lei?
“Non c’è mai stato un contatto con Martina, eccetto quando ci fu la sentenza della Cassazione, sei anni dopo la morte di Marco. Martina scrisse una lettera aperta alla Cassazione, parlando anche di noi, dove continuava a dire che si era fidata del padre. Da allora non c’è stato più nessun contatto.”
Opinione personale, ma non credo isolata, a prescindere di come siano andate effettivamente le cose, Martina, la fidanzata di Marco, di cui doveva essere innamorata, mi è sempre sembrata quella con più colpevole per il mancato aiuto a Marco. Era il suo amore, e non ha mosso un dito per salvarlo. Lei cosa ne pensa?
“So benissimo quello che mi dice. Marco avrebbe dovuto essere l’amore della sua vita in quei momenti. Quando mi parlavano di Martina, dicevo che sembrava una brava ragazza. Tuttavia, col tempo ho capito che ci aveva ingannato. Dopo la morte di Marco, e tutte le bugie che sono state dette, ho realizzato che Martina era una manipolatrice. Lei sapeva ottenere ciò che voleva grazie al suo atteggiamento. Anche se all’epoca non me ne rendevo conto perché mio figlio era innamorato. Però si vedeva che questa ragazza fosse determinata nelle sue convinzioni.”
Pensa che Martina non fosse veramente innamorata di Marco?
“Credo che se ci fosse stato amore, in dieci anni una parola per Marco l’avrebbe sprecata. Ora sono dieci anni che Marco è morto. Anche in tribunale, quando fu sentita all’epoca, l’unica cosa che disse di Marco fu: “ma quello era mio padre e lui era il mio ragazzo”. Non ha mai detto qualcosa come “Marco è l’amore della mia vita“. È come se Marco non fosse mai esistito. Non credo che ci fosse un legame emotivo. All’epoca, Marco rappresentava un possesso per lei. Forse perché glielo invidiavano. Marco era bello, buono e corteggiato. Quindi lo vedeva come una proprietà.”
Non era amore, secondo lei?
“Secondo me no. Perché, se ami una persona, te ne preoccupi veramente. Dalle intercettazioni, si capisce che Martina, poco dopo la morte di Marco, invece di preoccuparsi per lui, pensava all’esame che doveva fare. Questo comportamento non dimostra certo amore verso Marco. Basti pensare che, solo qualche giorno dopo, Martina era al Tevere Expo. Sorridente, a farsi dei selfie con le amiche.”