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Omicidio Vannini, venerdì l’udienza in Cassazione

Omicidio Vannini, venerdì l’udienza

Per la drammatica vicenda che ha sconvolto un’intera comunità arriva l’ultima tappa del percorso giudiziario. Venerdì 7 febbraio la Cassazione deciderà se porre la parola fine al caso, avallando la sentenza della Corte d’Appello, oppure se rispedire tutto indietro, al secondo grado di giudizio e rivalutare il tutto per stabilire quali siano le condanne da attribuire ai responsabili della morte di Marco Vannini.

Omicidio Vannini, venerdì l’udienza in Cassazione
Omicidio Vannini, venerdì l’udienza in Cassazione

Un ragazzo di appena 20 anni morto a causa di un colpo di pistola mentre si trovava a casa della sua fidanzata, in via Alcide de Gasperi, a Ladispoli. A finire nel mirino della giustizia un’intera famiglia: i Ciontoli. In primo grado a salire sul banco degli imputati c’era anche la fidanzata del figlio di Antonio Ciontoli, Viola Giorgini. I giudici del primo grado, dopo aver ascoltato i testimoni, esaminato le prove, avevano deciso di condannare il capofamiglia, responsabile dell’esplosione del colpo d’arma da fuoco risultato fatale per il 20enne, a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale. Il resto della famiglia era stato condannato a 3 anni per omicidio colposo. Assolta, invece, Viola Giorgini. Sentenza, quella nei confronti del capofamiglia modificata in secondo grado.

Derubricato il reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo con colpa cosciente, Antonio Ciontoli è stato infatti condannato a 5 anni di reclusione. Pene invariate invece per i suoi famigliari: la moglie Maria Pezzillo e i due figli Federico e Martina Ciontoli (fidanzata del giovane Marco all’epoca dei fatti).

Sentenza fortemente contestata dalla famiglia del ragazzo e dal pm della Corte d’Assise d’Appello, Vincenzo Saveriano che aveva chiesto la condanna di tutta la famiglia per omicidio volontario. Di contro i legali della famiglia Ciontoli avevano chiesto l’assoluzione di tutta la famiglia e uno sconto di pena per il capofamiglia. Ora si attende di conoscere la decisione dei giudici dell’ultimo grado di giudizio. Dopo aver esaminato gli atti in loro possesso e le memorie difensive delle parti, si deciderà se tornare al secondo grado di giudizio o confermare le condanne. 

CINQUE ANNI FA LA MORTE DEL GIOVANE MARCO VANNINI

Uno sparo. Un’intera famiglia coinvolta. Un ragazzo appena 20enne che perde la vita. È il 17 maggio del 2015. Marco Vannini decide di trascorrere la serata a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli, in via Alcide de Gasperi. È proprio qui che si consuma la tragedia. Marco, secondo quanto raccontato dai Ciontoli, era nudo dentro la vasca quando il capofamiglia, Antonio Ciontoli, entra in bagno per prelevare da un mobiletto un marsupio contenente due pistole. Il ragazzo se ne accorge e chiede al suocero di poterle vedere. Ciontoli impugna così la sua calibro 9 per mostrarla al ragazzo ed esplode il colpo che lo ferisce. Parte una prima chiamata al 118. Ad effettuarla è Federico Ciontoli.

Omicidio Vannini, venerdì l'udienza in Cassazione
Omicidio Vannini, venerdì l’udienza in Cassazione

All’operatore racconta che «c’è un ragazzo che si è sentito male probabilmente per uno scherzo, di botto è diventato troppo bianco e non respira più…». Al telefono arriva Maria Pezzillo, che poco dopo interrompe la chiamata dicendo che il ragazzo si è ripreso e che in caso richiameranno. Passano diversi minuti, parte una seconda chiamata al 118. Questa volta ad effettuarla è Antonio Ciontoli. Racconta di un ragazzo che mentre si trovava nella vasca è caduto e si è bucato con un pettine a punta. Arriva l’ambulanza che trasporta Marco al Pit. Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina con un ruolo nei servizi segreti, chiede di parlare con il medico di turno. È a lui che dice la verità: a ferire Marco è stato un colpo d’arma da fuoco, ma chiede se questo possa essere omesso, perché non vuole perdere il posto di lavoro. Il medico si attiva subito e chiama l’eliambulanza, ma troppo tardi. Poco dopo il decollo il cuore di Marco cede. L’eliambulanza è costretta ad atterrare nuovamente al Pit. I medici provano a salvare la vita al ragazzo ma inutilmente.

Partono gli interrogatori all’interno della caserma dei Carabinieri della compagnia di Civitavecchia. I famigliari prima raccontano una versione, poi la cambiano. Versioni messe in dubbio dall’accusa anche per quelle riprese e parole pronunciate nella sala d’attesa della caserma dei Carabinieri. Nel frattempo a diversi anni di distanza, mentre il processo giudiziario in primo e secondo grado si è concluso e si attende di conoscere l’esito della Cassazione, spuntano nuovi testimoni.

Una vicina di casa mai ascoltata prima dagli inquirenti, che mette in dubbio la presenza di Antonio Ciontoli al momento dello sparo. La donna non ricorda di aver visto l’auto del capofamiglia parcheggiata davanti al cancello di casa, come era solito fare quando rientrava, ma di averla vista solo successivamente, parcheggiata in mezzo alla carreggiata.

Un’altra testimonianza, che aveva portato all’apertura di un’altra indagine, poi archiviata, parlava di una confidenza fattagli dal maresciallo dei Carabinieri, Roberto Izzo, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Ladispoli. In quelle confidenze Izzo avrebbe parlato di una chiamata tra Ciontoli e Izzo, prima di quella inserita agli atti, dove Ciontoli raccontava quanto accaduto. Sempre secondo questa testimonianza, a sparare a Marco non sarebbe stato il capofamiglia ma il figlio, Federico.

Dubbi, anche sul luogo dello sparo. A dubitare che la tragedia si sia verificata in bagno, sono in particolar modo i genitori del ragazzo. C’è poi la maglietta che Marco indossava quel giorno. Non sarebbe stata restituita ai suoi famigliari, insieme alle sue cose.